Oggi viviamo in una società in cui la relazione con il cibo -anche in ambito sanitario – è fortemente condizionata a livello collettivo dalla cultura grassofobica, il sistema di valori e ideali culturali -prima che sanitari- che vede (erroneamente) nella magrezza IL valore e requisito di moralità, validità sociale e -solo poi – di salute e benessere. In questo paradigma, l’unico corpo e aspetto ritenuto normale, valido, accettabile, desiderabile e persino sano è quello magro e conforme agli stereotipi del momento.
La diretta conseguenza di ciò è la cultura della dieta, ovvero l’approccio alla alimentazione finalizzato al controllo del peso e il dimagrimento attraverso la restrizione calorica e il controllo dell’alimentazione. Vediamo la cultura della dieta in ogni situazione sociale quotidiana in cui si parla di dieta iniziata o da iniziare, di chili presi e da perdere, di corpi più o meno “in forma” , di cibi da evitare, cibi che fanno male, cibi che fanno bene, cibi che fanno ingrassare.
É bene mettere subito chiaro che lo scopo della cultura della dieta non è la salute e il benessere della persona, ma l’inseguimento di obiettivi estetici e numerici spesso irrealistici e/o insostenibili, anche a costo del proprio reale benessere socio-psico-fisico.
Chi non è conforme o non si mostra intentə a conformarsi all’immagine stereotipica di corpo-magro-valido e alle regole della cultura della dieta a causa di essi può sentirsi inadeguatə, può provare una scarsa autostima e un cattivo rapporto con il corpo, può sentire una pressione costante ad adeguarsi controllandosi, può subire body-shaming, commenti non richiesti dolorosi e invalidanti, bullismo, discriminazioni di varia natura, isolamento sociale… come può tutto questo essere una cultura della salute psicofisica? Spoiler: non lo è.