Skip to main content
Nutrizione e benessere

Gli approcci non prescrittivi non focalizzati sul peso: perché funzionano più delle diete?

By Dicembre 13, 2022Maggio 13th, 2024No Comments

Premessa: in questo articolo leggerai spesso i termini “ob*sità” e “sovrapp*so”, dove l’asterisco serve per poter parlare delle condizioni in questione spogliandole però dell’accezione negativa, patologica, stigmatizzante e possibilmente triggerante che il termine ha nel linguaggio medico-scientifico e nella nostra cultura. In questo articolo potrai capire il perché 🙂

Che cos’è l’approccio non prescrittivo e non focalizzato sul peso di alimentazione intuitiva e consapevole?

Vorrei raccontarvi innanzitutto cosa NON È, partendo dal racconto della mia esperienza.
Ho iniziato la mia carriera come Dietista “classica” , ovvero con l’approccio tradizionale prescrittivo e focalizzato sul peso (Weight-centered) che appartiene tutt’ora alla classe medica e dietetica ufficiale e di maggioranza.
In che cosa consiste? Che cosa significa? In parole povere: una persona viene pesata e se risulta “sovrapp*so/ob*sa” secondo tabelle di BMI o se semplicemente ha desiderio di perdere peso -che abbia o meno patologie- come prima cosa e sicuramente le si prescrive un piano dietetico da tot kcal in meno rispetto ai suoi fabbisogni; si spera che questa persona lo segua ferreamente e scrupolosamente circa tutti i giorni della sua vita e così facendo perda peso e mantenga la perdita di peso, e che questa migliori la sua salute (che secondo l’approccio Weight-centered è correlata linearmente al peso, per cui se sono presenti patologie queste si suppone verranno significativamente migliorate dalla perdita di peso ), la sua qualità di vita e la sua soddisfazione corporea ed autostima.

Questo approccio si basa quindi sulle seguenti assunzioni:
1) un peso elevato corrisponde a minore salute
2) la perdita di peso sostenibile nel tempo è raggiungibile
3) la perdita di peso causa significativi miglioramenti della salute fisica
4) lo stigma verso il peso (ovvero, la svalutazione, la preoccupazione socialmente diffusa verso le persone con un peso elevato) promuove la perdita di peso e miglioramenti della salute
5) riconoscere che qualcuno è “sovrapp*so” è necessario per spingere cambiamenti di stile di vita.

Ebbene, nei miei primi anni di lavoro ho potuto osservare come nella stragrande maggioranza delle persone la perdita di peso o non riusciva, o quando anche riuscisse nel breve termine non era mantenuta a distanza di diversi mesi o anni e così pure per quei miglioramenti della salute che si andavano a ricercare.
Le persone restavano deluse, demoralizzate, provavano senso di colpa e iniziavano battaglie infinite e senza tregua con il cibo. Spesso mi rendevo conto che diverse persone avevano proprio un rapporto con il cibo e il corpo complicato e doloroso che non migliorava affatto con la dieta perché essa peggiorava le loro preoccupazioni sulle scelte alimentari e amplificava il focus su dettagli e piccole variazioni del corpo.

Mi sono quindi ritrovata inizialmente ad approfondire studi scientifici che spiegassero la tendenza allo “stallo e al recupero del peso”, cercando inizialmente risposte e soluzioni che rendessero le diete più efficaci.
Ho scoperto invece che l’80-95% delle diete fallisce nel mantenere la perdita di peso a lungo termine (a prescindere che si mantengano o no i programmi alimentari e di allenamento) (53, 127,128, 139, 182-185, 191-193, 210, 211). La probabilità annua di riuscire in una riduzione del peso del 5% per persone ob*se varia in base al BMI iniziale e al sesso tra 1/5 a 1/12, mentre la probabilità di persone che entro 2 anni riprenderanno quel peso perso è del 50% (194) .

Perché ciò accade? Non è come comunemente viene raccontato “a causa della non-compliance dei pazienti”, al loro abbandonare la dieta o le abitudini (questa può essere una delle cause, ma non necessaria a giustificare il tasso di fallimento delle diete), né tantomeno al “non volerlo e non impegnarsi abbastanza”.
Ciò accade in primis a causa degli inevitabili meccanismi compensatori adattativi a cui ogni corpo -quando sottoposto a una restrizione alimentare forzata, ovvero a una dieta dimagrante- va incontro: il nostro corpo infatti -per quanto oggi viviamo in un’epoca di benessere e sovrabbondanza alimentare nel mondo occidentale- è ancora biologicamente quello di un uomo preistorico per cui è risultato altamente vantaggioso avere del grasso di riserva (rispetto al non averne abbastanza).
Il nostro grasso corporeo non è regolato da una semplice equazione “grasso=entrate-uscite”, bensì da un complesso sistema di controllo omeostatico neuroendocrino -governato dall’ipotalamo- che dipende da fattori non modificabili (genetica, età, patologie, storia del peso e dietetica) e fattori/stimoli ambientali modificabili (es alimentazione, esercizio fisico, stress).
Ho dedicato un intero articolo a questo tema, ovvero al cercare di illustrare ciò che sappiamo oggi di come viene determinato e regolato il peso di ogni persona: per farla in breve, il peso è determinato in larga parte dalla genetica (212) e da fattori ambientali che non sono sotto il nostro controllo/responsabilità, e solo in piccola parte è influenzato dallo stile di vita e quindi dalle scelte volontarie che si intersecano sempre con i fattori biologici della persona (genetica, stato metabolico e ormonale, patologie etc).

Il nostro sistema neuroendocrino ci predispone (e in modo variabile a seconda della genetica e di fattori biologici) ad accumulare più grasso possibile per prevenire/fronteggiare eventi di carestia e restrizione alimentare…e, indovinate un po’, si attiva soprattutto quando ci esponiamo a una restrizione alimentare, ovvero a una dieta.
Quando si perde peso riducendo le calorie ingerite il corpo attua degli adattamenti metabolici per cui riesce a ridurre il dispendio energetico (le calorie consumate) (142, 146) anche fino al 28% (117) (per fare un esempio, da che prima di dimagrire il dispendio energetico era di 2000kcal, dopo un dimagrimento può arrivare a 1500 kcal consumate)  e ad aumentare gli stimoli biologici (fame, appetito, desiderio) per aumentare le calorie ingerite e interrompere il deficit (187-190). È stato stimato che per ogni kg di peso perso, il dispendio energetico si riduce di 20-30 kcal mentre l’aumento dell’appetito porta a un incremento di 100 kcal rispetto a quanto si introduceva all’inizio della perdita di peso (189): ci si ritrova quindi a mangiare di più, consumando meno, da cui il recupero del peso -secondo una metanalisi (139) sarebbe mediamente del 77% del peso perso dopo 5 anni-….spesso con gli interessi nel 30-60% dei casi (53) (i dati che abbiamo sono verosimilmente in realtà peggiori se si considera che provengono solo da studi pubblicati che rappresenterebbero gli studi “promettenti” sulla perdita di peso…omettendo invece i casi di drop-out di persone che abbandonano la dieta, persone escluse per comorbidità -anche disturbi alimentari- e gli studi non pubblicati a causa di bassi tassi di successo). La riduzione adattativa del metabolismo indotta dalla restrizione può essere consistente e persistente (193). Il peso sarebbe quindi in primis una variabile genetica e biologica (legata a adattamenti biologici ormonali, metabolici, patologici…), più che non necessariamente il risultato di una alimentazione eccessiva, non sana o di inattività fisica: lo studio di Drenowatz et al (195) mostra infatti come l’intake alimentare di persone con diversi BMI a parità di sesso non differisca in modo significativo. 

Ho capito quindi che non vi è una soluzione alle diete dimagranti, ma che sono le diete dimagranti ad essere fallimentari in sé per la loro natura contro la natura del nostro corpo.

Ho scoperto che statisticamente, una persona su 4 che intraprende una dieta svilupperà un disordine o un disturbo dell’alimentazione a causa dell’eccessivo sforzo (in primis mentale) necessario a controllare il peso, le forme corporee e l’alimentazione (sforzo che – purtroppo – è spesso proprio promosso dalla medicina weight-centered).
Gli studi e gli approcci terapeutici ai disturbi alimentari ci insegnano infatti che il fattore chiave dello sviluppo di un rapporto distorto con cibo e corpo (che può sfociare in un disturbo alimentare) è proprio l’eccessiva importanza, l’eccessivo focus e quindi le eccessive preoccupazioni e controllo rivolti al cibo, all’esercizio fisico, al corpo e all’immagine del corpo.
Questa comprensione mi ha aperto gli occhi sul fatto che esistesse un problema di fondo di inefficacia e pericolosità degli approcci dietetici che passano attraverso diete, schemi, controllo.

Ma qual è allora la soluzione?  Come ci si può prendere cura dell’alimentazione e della salute delle persone se le diete non funzionano e sono pericolose? 

La scoperta della grassofobia culturale e nella ricerca

Ho così cercato risposte e ampliato il mio sguardo.
Ho scoperto prima la Mindful Eating e l’alimentazione intuitiva come strumenti alternativi alle diete per la cura dell’alimentazione: questi approcci mi piacevano perché erano sicuramente meno rigidi delle diete, ma non rispondevano alla domanda “come far dimagrire le persone?” che era l’obiettivo su cui ero stata formata in ambito accademico come Dietista.

È solo quando ho incontrato il femminismo attraverso i social e grazie ad esso ho preso consapevolezza dell’esistenza della grassofobia e della mia grassofobia interiorizzata che ho iniziato a trovare delle risposte.

Fino all’Ottocento nella società occidentale l’essere grassi era un valore sociale e un segno medico apprezzato perché segno di ricchezza, di benestanza e di possibilità di sopravvivenza a ristrettezze alimentari che apparteneva alle classi aristocratiche. Era segno apprezzato di fertilità e prosperosità nel genere femminile: pensiamo alla varie “Veneri” che si sono susseguite nel corso dei secoli scorsi, la venere di Willendorf, di Botticelli, le donne di Botero…

Ma intorno alla fine dell’Ottocento la società occidentale era sempre più industrializzata e questo rendeva l’accesso al cibo e quindi all’essere grassi non più un privilegio delle classi abbienti. Le classi più ricche della nascente borghesia volendosi quindi distinguere dalle classi più povere -ma anche dalle stesse classi aristocratiche in decadimento- iniziarono a delineare un nuovo modello, un nuovo ideale della loro classe sociale.
In quello stesso periodo la cultura occidentale si stava affacciando sempre di più verso teorie di eugenetica razziste -basate anche sulla frenologia, ovvero quella pseudoscienza ormai screditata che attraverso l’analisi del cranio definiva caratteristiche di carattere e personalità-.
Queste teorie vedevano le persone nere come persone appartenenti a razze inferiori. Avendo le donne nere (allora schiavizzate) corpi tendenzialmente più imponenti, formosi e grassi rispetto ai corpi di persone e in particolare donne bianche, il grasso è diventato così il presunto segno dell’inferiorità razziale, di inferiorità, primitività, di degradatezza. Ed è qui che troviamo l’intersezione tra grassofobia, razzismo, sessismo e cultura cattolica: poiché le donne hanno una % di grasso maggiore rispetto agli uomini, la grassezza è stata considerato il segno distintivo dell’inferiorità morale del genere femminile, simbolo di lascivia e peccaminosità, di scarso controllo e scarsa forza di volontà razionale sul corpo, di immoralità: da qui l’idea che le donne debbano controllare maggiormente le forme del loro corpo per farsi spazio in una società (e in una fede) patriarcale ma anche nel regno divino.

Nella società borghese e cattolica di inizio Novecento quindi la magrezza, il dimagrimento, controllo del cibo e del peso, ricerca della magrezza erano considerati valori di civilizzazione, di correttezza, di maggiore moralità, di conformità sociale, quindi di normalità e desiderabilità.
È proprio in quegli anni che nasce l’indice del BMI da parte di un matematico cercava un indice statistico che descrivesse “l’uomo medio”, ovvero l’ adulto di sesso maschile medio borghese…l’essere umano ideale secondo i tempi.

Un passaggio importante da comprendere è quindi proprio che le diete per dimagrire di fatto erano attuate prima ancora che si parlasse di grasso come problema di salute per questioni estetiche culturali e sociali.
La grassofobia culturale si è sedimentata nella società ben prima che si studiasse la relazione tra peso/grasso e salute e ha condizionato l’applicazione di un ragionamento e un corretto metodo scientifico a tal modo che la ricerca e gli studi sul grasso e l’obesità sembra godano di una speciale immunità dagli standard normalmente richiesti nella pratica clinica e nelle pubblicazioni scientifiche (81) e siano di fatto contenziosi (83), basati su evidenze limitate o di qualità bassa (129) e ricchi di bias, errori metodologici (104) come ad esempio l’ esclusività e il non andare alla ricerca dei rapporti di causalità (129).
Il BMI è nato appunto come indice statistico dal matematico belga Adolphe Quetelet per studiare l’ “uomo medio belga”: è stato poi usato dalle compagnie assicurative come parametro che mostrava una correlazione con la mortalità, e quindi è stato usato nei primi fat studies che hanno indagato la relazione tra peso, grasso e salute suggerendo l’esistenza di una “relazione causale” diretta tra grasso e problemi di salute.
Da questi studi sono nate le categorie di BMI normop*so, sovrapp*so, ob*se e la classificazione normopeso=sano, tutto il resto=non sano.

Oggi sappiamo che questi studi e queste categorizzazioni sulla base del BMI sono viziose per diverse ragioni :
1) il BMI innanzitutto non è un indice inclusivo e specifico, perché si riferisce solo a uomini adulti bianchi borghesi e belgi: è come prendere un farmaco che è stato testato solo su persone di sesso maschile e di etnia caucasica e venderlo come sicuro a tutte le persone del mondo (in realtà è ciò che la medicina ha fatto per molto tempo perché è la nostra medicina occidentale nasce studiando il sesso maschile). Banalmente le persone di sesso femminile hanno fisiologicamente percentuali di grasso maggiori, così come con l’avanzare dell’età è fisiologico aumentare di grasso. O ancora esistono differenze biologiche legate all’etnia.
2) questi studi mostrano una correlazione statistica ma non una causalità.
3) non considerano altri fattori che stanno dietro o intorno al peso e sono determinanti indipendenti-dal-peso di rischio alla salute.

Lo scopo di questo articolo è proprio raccogliere tutte le molteplici evidenze disponibili che confutano la relazione causale tra grasso-morbidità-mortalità e l’efficacia delle diete dimagranti e mostrano invece quanto una società grassofobica sia responsabile di peggioramenti della salute e della qualità di vita delle persone grasse a causa di Weight-stigma, weight-bias, discriminazioni basate sul peso, diete dimagranti.
I dati che seguono sono presi dalla review di Bacon, L., Aphramor, L. Weight Science: Evaluating the Evidence for a Paradigm Shift. Nutr J 10, 9 (2011). ( https://doi.org/10.1186/1475-2891-10-9)

APPROFONDIAMO LA RELAZIONE TRA PESO E RISCHIO ALLA SALUTE

Il fatto che -secondo diversi studi tra cui quelli su cui si basano le categorie di BMI- all’aumentare del peso si osservi una maggiore correlazione (prevalenza statistica) di problemi di salute non significa e non ci deve portare a concludere che sia il grasso ciò che causa problemi di salute. Non bisogna infatti confondere “correlazione” con “causalità”. “Correlazione” significa semplicemente associazione, co-presenza di determinate variabili: ad esempio, se vedo un gatto sul tavolo e un bicchiere rotto per terra che prima stava sul tavolo, posso dire che c’è una correlazione tra il gatto e il bicchiere rotto, ma non possiamo essere certi del fatto che sia stato il gatto sul tavolo a fare cadere il bicchiere per terra e a romperlo (potrebbe essere passato qualcuno che lo ha rotto, potrebbe esserci stato un terremoto)…ovvero, non possiamo presumere -senza altre prove, senza considerare altri possibili fattori confondenti o altre variabili- un rapporto di causa-effetto diretta.
Lo stesso discorso è necessario per quanto riguarda gli studi che mostrano una correlazione tra peso e problemi di salute.

1) Molti fat-studies che mostrano questa correlazione e ne concludono -erroneamente- una causalità raramente considerano fattori “terzi” confondenti determinanti della salute come il livello di attività fisica, la scarsa qualità dietetica, scarso sonno, il consumo alcolico, il weight-cycling, lo stress, l’insilino-resistenza (112-114): tutti fattori che potrebbero essere “dietro” al peso ma anche indipendenti al peso, quindi possibilmente presenti anche in persone con BMI definiti “normali e sani”…ad esempio, la sedentarietà è notoriamente un fattore che aumenta i rischi alla salute a qualsiasi peso (197).
Questi fattori potrebbero essere i reali determinati, le reali cause dei problemi alla salute…ma possibilmente anche dell’aumento di peso, che in sé non è però la CAUSA dei problemi di salute: ad esempio una sedentarietà e cattive abitudini alimentari possono influire tanto sulla salute, quanto sul peso, ma non è necessariamente l’impatto sul peso a determinare un rischio alla salute…. Molti dei problemi di salute che di solito si ritiene siano correlati al peso corporeo  -ad esempio l’ipertensione (91,92)- in realtà sembra derivino DIRETTAMENTE da altri fattori (che possono causare anche un aumento di grasso, che non è però a questo punto la causa primaria): nell’esempio dell’ipertensione, questi fattori sono ad esempio quindi stress, alimentazione squilibrata, sedentarietà…

Negli studi che osservano un miglioramento dei parametri di salute e di longevità a seguito di interventi di stile di vita che si propongono di ridurre il peso, di fatto il miglioramento sembra quasi totalmente indipendente all’entità della perdita di peso e piuttosto legato ai miglioramenti di stile di vita (che potrebbero per alcune persone -e qui entra in gioco la variabilità biologica- avere come effetto secondario anche la perdita di peso) (2, 211).
Ad esempio, in studi sul diabete e l’ipertensione, miglioramenti significativi della glicemia, dell’insulinoresistenza, dell’infiammazione e dell’ipertensione si osservano attraverso cambiamenti di stile di vita, di stato nutrizionale (92) e farmaci mirati prima di qualsiasi cambiamento del peso che spesso di riduce come conseguenza..nonché i miglioramenti di salute osservati in persone che perdono peso raramente mostrano una dose-risposta (92), ovvero in persone che perdono poco peso generalmente si osservano gli stessi miglioramenti che in persone che perdono molto peso (2-7).
L’elevato accumulo adiposo sarebbe più una conseguenza e sintomo primario dell’insulinoresistenza/diabete (perché la resistenza dell’insulina aumenta l’accumulo adiposo) che non una causa della patologia (1, 8-12, 90).
O ancora, sono ben documentati i miglioramenti della sensibilità insulinica e della lipidemia associati all’esercizio fisico aerobico, anche negli individui che durante l’intervento erano aumentati di peso [7,13] o comunque in modo non correlato alla perdita di peso (102): sappiamo oggi infatti che la causa primaria di insulino-resistenza/diabete è direttamente l’infiammazione cronica, causata da diversi fattori (stress, fumo, inquinamento, cattive abitudini alimentari, iperglicemia) e mantenuta dalla sedentarietà.
Questi dati sostengono il fatto che sia il cambiamento di stile di vita, più che non del peso, a produrre miglioramenti di salute.

2) Inoltre, molti fat-studies che parlano di BMI non differenziano l’effettiva distribuzione del grasso: sappiamo infatti che  il tessuto adiposo sottocutaneo è assolutamente inerte e non ha alcun effetto metabolico possibilmente dannoso. Lo studio di Klein et al del 2004 (196) mostra infatti come un gruppo di persone che si è sottoposta a liposuzione, quindi ha visto ridursi significativamente peso e grasso corporeo -ma solo quello sottocutaneo, non viscerale!-, non ha però osservato alcun miglioramento significativo di marker clinici di salute come insulino-resistenza, markers di infiammazione, pressione, lipidemia…
Eppure spesso è proprio soprattutto il tessuto adiposo sottocutaneo (i “rotolini”, le “maniglie”, le “braccia pendenti”, le cosce piene, il sedere pronunciato) quello che le persone -spinte dalla cultura grassofobica- vorrebbero vedere e far sparire…….nulla di questo ha alcuna correlazione con la salute!
Ciò che è maggiormente correlato a problemi di salute è l’accumulo di grasso viscerale, ovvero quello che si accumula intorno agli organi -come nel caso dell’aumentato accumulo di adipe nella cavità addominale- e dentro a organi -come il fegato, nel caso della steatosi, che va detto può manifestarsi anche in soggetti “normopeso” o magri!…- che non siano il tessuto adiposo perché questo compromette le funzioni vitali degli organi. La misura della circonferenza vita è già una misura più utile del BMI, ma da sola non è comunque esaustiva e predittiva e non può essere usata come parametro di salute.  Questo spiegherebbe anche il cosiddetto “paradosso dell’ob*sità” (46,52,84) per cui persone classificate come “ob*se” risultano avere una prognosi migliore verso patologie diagnosticate (a parità di procedure mediche), soprattutto in età avanzata (49): ad esempio perché hanno maggiori riserve energetiche sottocutanee con cui fare fronte a patologie che sottopongono il corpo a stress, deperimento e malnutrizione…o perché il grasso sottocutaneo può legare e neutralizzare citochine infiammatorie (208).

Quando infatti studi più accurati considerano il BMI corretto per diversi fattori confondenti (quindi, si studia il BMI e il rapporto con una certa patologia anche il relazione al fare o non fare attività fisica), l’aumento di rischio patologico associato al BMI (al di là dei valori statisticamente estremi) o scompare o si riduce significativamente (1): il BMI insomma risulta essere da solo un predittore molto debole della mortalità (se non a valori statisticamente molto elevati, estremi di BMI). Per darvi una misura, il presunto “aumentato rischio di mortalità associato all’ob*sità” è di gran lunga notoriamente inferiore rispetto al certo rischio associato al fumo: quante persone fumano pur consapevoli del rischio e magari non vogliono smettere di fumare proprio per la paura di ingrassare…?
L’aumento del rischio è significativamente più concreto, reale e grave per i fumatori…eppure non c’è la stessa pressione nei loro confronti a smettere di fumare, e fumare è socialmente considerato “cool” in molti ambienti. Abbiamo davvero ragione di accanirci con le persone più grasse “per la loro salute”? Le evidenze ci dicono di no.
Diversi studi mostrano di fatto come le persone classificate come “sovrapp*so” o “moderatamente ob*se” vivono tanto quanto le persone “normop*so”, se non spesso di più (36-39) e soprattutto dopo i 55 anni (40-42, 89) e in presenza di alcune condizioni patologiche – es DMT2 (43, 98, 99) , ipertensione (44,45, 95,96), malattie cardiovascolari (46,47, 95,96, 98-99), eventi e interventi cardiovascolari (48,49, 84, 95) e malattia cronica renale (50), emodialisi (51) l’aumento adiposo sia un fattore associato a ridotta incidenza di eventi cardiovascolari (94,95, 98) e mortalità (82, 89, 97, 98, 100, 101) rispetto al “normop*so”.

Una metanalisi del 2013 del CDC che ha coinvolto 2,88 milioni di partecipanti (200) ha rilevato che il rischio relativo di mortalità era minimo in persone categorizzate come “sovr*pp*so”, massimo nelle persone “sottopeso”, mentre le persone “normopeso” e con “ob*sità di 1^grado” avevano lo stesso rischio: si potrebbe però pensare che ciò sia legato al fatto che le persone “sovrapp*so” o “ob*se” abbiano un rischio inferiore perché riceverebbero maggiore screening e cure mediche (201, 202, 203), ma ci sono molti altri studi che suggeriscono invece che queste persone siano meno soggette ad alcuni screening (34,35, 83, 123, 171, 204-206) e ricevano cure meno esaustive (207), come approfondito in un paragrafo successivo.  O ancora, lo studio del 2016 di Tomiyama (209) osserva come circa metà delle persone con BMI definito “sovrapp*so” , il 29% di persone “ob*se” e il 16% di persone con “grave ob*sità” avevano regolari parametri di salute cardiometabolica (pressione, trigliceridi, colesterolo, glicemia, insulino-resistenza, PCR) : considerando che il rischio cardiovascolare è tra le principali cause di mortalità in assoluto, questi dati ci dicono come definire semplicisticamente a rischio una persona sulla base del suo peso sia quantomeno riduttivo.

3) infine, dovendo approfondire la correlazione, è da considerare anche l’ipotesi della “causa inversa” (per capirci: “è venuto prima l’uovo o la gallina?”): e se fosse la scarsa salute -disabilità, difficoltà economiche (198), stress (199) e altri possibili meccanismi (197)- ad essere causa di un aumento di peso, e non necessariamente solo il contrario?

Tutti questi fattori/discriminanti giocano un ruolo chiave nel determinare il rischio per la salute e sono indipendenti dal BMI, eppure i “fat-studies” non li considerano: questo è un primo fondamentale “bias”, un errore metodologico ampiamente diffuso in tutta la ricerca scientifica prodotta finora.

IL FATTORE CONFONDENTE DEL WEIGHT-CYCLING NELLA RELAZIONE TRA PESO E MORBIDITA’

Il weight-cycling è quel fenomeno anche noto come “yo-yo del peso” che è legato ai ripetuti tentativi dietetici: si perde peso, si riacquista peso, si riprova a perdere peso, si perde peso, si riacquista il peso etc…
Come spiegato sopra e nell’articolo “come avviene la regolazione del peso” , le ragioni per cui il dimagrimento non è mantenuto non sono necessariamente legate a responsabilità della persona, quanto in primis e soprattutto a cause biologiche, al fatto che il corpo si oppone a una restrizione forzata non fisiologica.

Sappiamo che ogni persona ha per predisposizione genetica non modificabile una quantità e distribuzione di grasso e forme fisiche diverse -esattamente così come abbiamo una diversa altezza-, ciò quindi a prescindere dal suo stile di vita, da cosa mangia, quanto si muove e che non esistono naturalmente solo corpi magri. Se due persone per un anno mangiassero le stesse cose e conducessero lo stesso stile di vita avrebbero comunque pesi e forme corporee diverse. Sappiamo che una persona che dimagrisce ha una riduzione dei trigliceridi contenuti negli adiposità e quindi del volume degli adipociti, ma non una riduzione del numero degli adipociti (118): la struttura del tessuto adiposo resta inalterata -dopo la fine dello sviluppo puberale- e quindi inalterata è la predisposizione ad essere grassə. Infatti, una persona che ingrassa in età pediatrica in fase di sviluppo ha un aumento del numero degli adipociti che la predispone ad essere più probabilmente (ma non sicuramente) grassə anche in età adulta, in primis per questioni biologiche.

Dati ci confermano che il dimagrimento forzato non è sostenibile a lungo termine per la maggior parte delle persone (76, 127,128); secondo un panel di esperti del NIH, entro un anno si recupera il 30-60% del peso perso, e entro 5 anni tutto è recuperato (61,80, 87).

Ebbene, già 20 anni fa Brownell e Rodin hanno pubblicato un paper che riepilogava gli effetti negativi medici, metabolici e psicologici del weight-cycling. (140,141).
Questo yo-yo del peso conseguente al weight-cycling è molto più dannoso sulla salute perché aumenta l’infiammazione (85), l’insulino-resistenza, l’ipertensione (14,15, 88), la dislipidemia (86), il rischio cardiovascolare (16,17, 83, 85, 86, 88, 93), il rischio di diabete (85), la riduzione del metabolismo energetico (117, 142,146), di un aumento del peso (18,19, 83, 85, 87, 88) e in generale di mortalità (17, 89 , 97). Uno studio su un largo campione di infermiere (Nurses’ Health Study II) ha rilevato come donne con una storia di weight-cycling avessero un maggiore aumento di peso, una riduzione dell’attività fisica e aumento del bingeing rispetto al gruppo non-weight-cycling. (70)

Inoltre lo studio di Olson rileva un maggiore distress emotivo associato al weight-cycling soprattutto nelle persone che pensavano che la magrezza avrebbe dato loro maggiore successo personale e sociale (143). Risultati simili anche nello studio di Osborn (144) in cui il weight-cycling è associato a peggiori esiti psicologici, bingeing, aspettative di magrezza e scarsa autostima.

Le persone grasse sin dall’infanzia vengono spinte a intraprendere diete restrittive: questa pressione le rende maggiormente soggette al weight-cycling.
L’associazione rilevata tra grasso e problemi di salute sarebbe quindi causata più dal weight-cycling conseguente ai tentativi di dimagrimento fallimentari, che non al grasso in sé (16, 85, 89,126). Lo studio EFFORT  (89) mostra proprio come il più alto tasso di aumento di mortalità si rilevasse nel gruppo di persone ob*se con fluttuazioni (yo-yo) del peso, che non in quelle con peso stabile e nemmeno in quelle con aumento di peso.

Ma anche senza lo yo-yo del peso, il dimagrimento in sé ha degli effetti collaterali (126): deplezioni nutrizionali, riduzione della massa muscoloscheletrica con aumento del rischio di osteopenia e osteoporosi (20,23), aumento dello stress e del cortisolo – fattori notoriamente causa di patologie cardiometaboliche (24)-, aumento del rischio di DMT2, artrite ed eventi cardiovascolari associato alla liberazione di tossine e inquinanti pro-infiammatori liposubili -quindi accumulati nel tessuto adiposo- con la riduzione del grasso (25-30), fragilità e aumento del rischio infettivo e di malattie, riduzione della libido (121), aumento del rischio di colecistectomia e anemia  (121), disturbi alimentari (31, 74), depressione, aumento dello stigma e delle discriminazioni basate sul peso, distrazione da altri obiettivi di benessere e realizzazione personali, peggioramento di parametri funzionali (regolarità intestinale, forza, resistenza, sonno).

Ma anche senza il dimagrimento, la dieta restrittiva (o la “restrizione dietetica cognitiva”, il tentativo di restringere la propria alimentazione) in sé ha degli effetti collaterali: aumento dello stress e del cortisolo, aumento del rischio di disturbi alimentari e riduzione delle capacità interocettive. Le capacità interocettive sono definite come la capacità di percepire e ascoltare i segnali corporei interni di fame, appetito, sazietà, ovvero di utilizzare quegli strumenti con cui il corpo segnala i suoi bisogni alimentari e quindi autoregolarsi nel comportamento alimentare: le diete, gli schemi alimentari, o il semplice affidarsi a regole esterne chiaramente “silenziano” o “spengono” l’ascolto rivolto ai segnali interni, proprio perché si delega e si affidano le proprie scelte alimentari a indicatori esterni. Questo -soprattutto considerando la situazione di stress aumentata dalla restrizione- non appena si interrompe o elude la regola/dieta/piano favorirebbe la disregolazione e la perdita di gestione alimentare consapevole favorendo di fatto il recupero del peso (119) con una tendenza all’ aumento di peso (16, 18,19, 55-60, 83, 85, 87,88).

Secondo una crescente evidenza (145-151)  il tentativo di mantenere un peso ridotto (che non si mantiene spontaneamente perché non è il proprio peso naturale di benessere) con rigide regole dietetiche (auto-prescritte o prescritte da professionist*) sarebbe proprio un elevato fattore di rischio di disturbi alimentari, sia binge-eating disorder che bulimia dal momento che l’abbuffata (con o senza compensazione) segue la rottura delle regole dietetiche e il conseguente aumento di peso…ma anche anoressia.

Dobbiamo quindi chiederci come sia possibile che ancora oggi si prescriva il dimagrimento/calo di peso a persone che soffrono di bingeing/bulimia, o in generale a persone senza approfondire la presenza di disturbi alimentari…ma diciamo pure che è chiaramente non etico prescrivere dimagrimento/calo di peso e diete alle persone, tutte. Ciò che cerchiamo di lottare nei disturbi alimentari conclamati (controllo, focus sul peso e sulla dieta, dimagrimento) è esattamente ciò che promuoviamo in tutte le altre persone.

E la chirurgia bariatrica? Esistono pochi studi sugli esiti della chirurgia bariatrica a lungo termine, ma dati emergenti suggeriscono che vi è un graduale recupero del peso post-chirurgia (62,63), e a questo bisogna aggiungere tutti gli effetti collaterali irreversibili delle operazioni chirurgiche ( malassorbimento, malnutrizione).

Nessuno studio controllato randomizzato ha dimostrato un aumento della longevità a seguito della perdita di peso (83), anzi gli studi attualmente disponibili mostrano che non è possibile raccomandare con sicurezza la perdita di peso (100) .
Che valore etico ha quindi offrire o imporre una perdita di peso forzata se questa statisticamente parlando non è quasi mai mantenuta nel tempo (85, 103, 105) e ha ridotta efficacia nel migliorare la salute (83, 103) -anche mantenendo il loro programma di dieta e esercizio fisico (53, 54).

Citando un editorale del New England Journal of Medicine del 1988 (121): “anche concedendo l’ipotesi di esistenza di una associazione tra aumento di peso e aumento di mortalità -almeno per le persone giovani- non è altrettanto ammissibile e dimostrato che dimagrire ridurrà il rischio. Semplicemente non sappiamo se una persona che perde 10 kg acquisirà la stessa riduzione del rischio di una persona che pesava in partenza 10 kg in meno. I pochi studi sulla mortalità tra persone che si sono volontariamente sottoposte alla perdita di peso ha prodotto risultati in consistenti e alcuni suggeriscono addirittura che la perdita di peso aumenti la mortalità“.

GLI EFFETTI COLLATERALI DELLO STIGMA E DELLE DISCRIMINAZIONI SUL PESO E IL THIN-PRIVILEGE: ALTRO FATTORE CONFONDENTE NELLA RELAZIONE TRA “OB*SITA’ ” E MORBIDITA’

Secondo la logica dell’approccio Weight-centered, “il peso elevato compromette la salute” e “il peso può essere controllato con la forza di volontà nello stile di vita”, quindi le persone grasse sono viste come “persone malate a causa del loro stile di vita insano perché prive di forza di volontà, moralmente inferiori, stupide e inutili (172) che pesano sulla società “. Questi sono gravissimi pregiudizi stereotipi e bias che pesano tantissimo sulla salute psicofisica delle persone grasse, ma che sono ampiamente presenti nella nostra cultura anche in ambito sanitario, nelle compagnie assicurative (34, 35, 158-161,168-173) e nelle iniziative di salute pubblica (111, 162, 163). Oggi abbiamo tantissimi dati di studi che ci confermano che le persone più grasse sono quelle più soggette a stress (115), stigma (35), microaggressioni e discriminazioni culturali anche in ambito sanitario (34, 35, 158-161, 168-173). Ad oggi, le discriminazioni basate sul peso sono pari se non superiori a quelle basate sulla razza o sul genere (32).
Diverse evidenze provano che lo stigma del grasso è correlato a una riduzione e non a un aumento di salute e cambiamenti di stile di vita salutari (33, 111,124, 167, 169, 175, 214,215,219,228).
Le persone grasse discriminate tendono infatti a uscire meno di casa, a fare meno attività fisica e frequentare meno ambienti sportivi (107-109), anche a sottoporsi meno a controlli medici per non subire lo stress del sentirsi continuamente dire di perdere peso (110),  di dover fare esercizio fisico per dimagrire e per via delle discriminazioni sul peso (83). Anche il ricevere complimenti per la perdita di peso rappresenta di fatto una microaggressione (152) in quanto sottintende sempre che il proprio valore sia vincolato al proprio peso più che non ad altri aspetti di benessere che -ad esempio- potrebbero essere compromessi quando si osserva una perdita di peso (legata ad esempio a malattie, depressione, stress, difficoltà finanziarie…).

Molte persone grasse tendono a evitare gli ambienti sportivi perché “non ci si aspetta di vedere persone grasse in ambienti sportivi”, perché le persone grasse non rispecchiano l’immagine stereotipato del “fitness” e -se non si sente di farne parte- si evita quell’ambiente (219). Un’altra discriminazione riguarda l’ambiente assicurativo: la maggior parte delle polizze assicurative aumenta di prezzo all’aumentare del BMI, riducendo di fatto a priori l’accesso alla salute alle persone grasse. O ancora, le persone grasse sono più a rischio di essere sedentarie a causa di uno status socio-economico inferiore a causa dello stigma e delle discriminazioni in ambiente scolastico (153-157) e sul luogo di lavoro (121, 164, 165).  Le persone grasse subiscono discriminazioni anche in ambito famigliare e delle relazioni affettive (166, 167). Questo enorme stress si riverserebbe non solo  direttamente sulla salute (uno studio (216) ha rilevato una correlazione positiva tra percezione di discriminazioni basate sul peso e l’aspetto fisico e l’aumento della pressione arteriosa, suggerendo un ruolo dello stress legato al Weight-stigma sulla salute cardiometabolica ) ma anche sul cibo aumentando l’aumento calorico (180) e possibilmente aumentando il rischio di disturbi alimentari (binge-eating disorder, bulimia) per cercare di controllare il peso (217-222).
Nella mia esperienza professionale  alcune persone grasse mi hanno raccontato che persino mangiare in pubblico era per loro un evento stressante che evitavano a causa dei continui giudizi/commenti non richiesti sulle loro scelte alimentari ricevuti (o per la paura di essi) : questo le portava a digiunare per diverse ore in contesti scolastici/lavorativi, ritrovandosi poi con una fame enorme incontrollabile che triggerava spesso episodi di abbuffate.

In uno studio prospettico di 4 anni di larga scala nazionale, coloro che riportavano di subire discriminazioni verso il peso avevano 2.5 volte più probabilità di diventare aumentare di peso (181).

La conseguenza delle forti e continue pressioni di stigma sociale e culturale è anche la grassofobia interiorizzata, ovvero il fenomeno per cui le stesse persone (più o meno grasse) adottano a loro volta pregiudizi verso se stesse che interferiscono con la loro salute psicologica e il loro comportamento alimentare (174-178) e quindi anche la salute fisica (179).
Il weight-stigma è associato a una peggiore immagine corporea (219-222), ridotta autostima (219,220) e depressione (223, 226,227)  tra bambini, adolescenti e adulti.

Lo stigma e gli errori basati sui pregiudizi verso il grasso nella sanità sono molto ben documentati e causano una riduzione della qualità delle cure mediche e diagnostiche nelle persone grasse, risultando in un aumentata morbidità e mortalità (34,35): spesso problemi di salute -ad esempio i tumori (123)- sono sottodiagnosticati, sminuiti o non trattati a causa del peso (110), ad esempio perché gli strumenti diagnostici non sono “adatti” a corpi più grassi. Anche l’ignoranza del personale sanitario rispetto alla gestione di procedure chirurgiche e dosaggi farmacologici adeguati a corpi più grassi è altrettanto una forma di stigma ed errore rilevante. (171)

Nonché, alcuni farmaci “dimagranti” commercializzati nel corso dell’ultimo secolo hanno rilevato pesanti effetti collaterali sulla salute delle persone grasse, soprattutto l’insufficienza cardiaca (83); negli anni ’90 era molto comune l’uso di farmaci -approvati dall’FDA per l’obiettivo dimagrante!- a base di amfetamine (es Fen/Phen, Redux), successivamente rimosse dal commercio per gli evidenti effetti collaterali e le morti associate. [Una drammatica storia legata all’uso di amfetamine per il dimagrimento si trova nel libro/film Requiem for a dream, in cui la madre del protagonista partendo dal solo desiderio di dimagrire per andare il TV segue una dieta prescritta da un medico a base di amfetamine, finisce per diventare tossicodipendente e del tutto alienata dalla realtà].

Lo stigma sul grasso si ripercuote anche sulle persone magre nella misura in cui esse non vengono adeguatamente o puntualmente sottoposte a screening  ed esami diagnostici perché non corrispondono al “profilo (grasso) di rischio” di diverse condizioni come apnea notturna, diabete di tipo 2, steatosi…tutte condizioni che possono in realtà essere benissimo presenti anche nelle persone “normopeso”.

Il problema allora è il grasso, o le conseguenze che il grasso ha sulle persone in questo contesto socio-culturale e negli ideali che esso promuove?

Il contesto  in cui una persona grassa è immersa produce esiti diversi sulla sua salute e mortalità a causa dell’impatto del weight-bias, del weight-stigma, delle discriminazioni basate sul peso, dello yo-yo del peso indotto dalle diete dimagranti.
Quando analizziamo i “dati statistici” che correlano l’ob3sità a vari problemi, dobbiamo necessariamente chiederci che impatto possano avere questi fattori -che stanno intorno al peso e non sono direttamente legati al peso- sulla salute della persona.

E appunto moltissimi “fat studies” non considerano tutte queste variabili confondenti.

I FATTORI SOCIO-ECONOMICI E AMBIENTALI NON MODIFICABILI COME DETERMINANTI DEL PESO E DELLA SALUTE

Ci sono molti importanti privilegi sociali che influiscono tanto sull’accesso a strumenti di salute e benessere quanto anche (indipendentemente) sul peso: molti fat-studies non approfondiscono l’impatto delle differenze sociali, di classe e ambientali.

Per le comunità e famiglie meno abbienti può essere impossible acquistare cibi di alto valore nutritivo come frutta, verdura, pesce [130-134]. Al contrario, cereali raffinati e cibi ricchi di grassi, zuccheri e conservanti aggiunti sono di solito meno costosi e più accessibili anche alle persone meno abbienti. [130-132]. Altrettanto può essere difficile avere i mezzi economici per pagare cure medico-sanitarie. Inoltre le comunità e società meno abbienti hanno meno risorse ambientali per fare attività fisica (es parchi, spazi verdi, piste ciclabili e servizi ricreativi) rispetto a comunità, quartieri e società più abbienti [135, 136]. La criminalità, il traffico, l’insicurezza dei parchi giochi o verdi sono altrettante barriere all’attività fisica nelle classi meno abbienti [137, 138]. Infine, le classi meno abbienti hanno generalmente meno tempo libero dal lavoro (ed energie) da dedicare alla spesa, alla cucina, all’esercizio fisico.

Il problema è il grasso…o il ridotto accesso a strumenti di benessere?
La responsabilità è della persona….o di politiche sociali democratiche?
I messaggi e le politiche di salute pubblica che puntano sulla responsabilità individuale non sono etiche e non sono inclusive. Il focus sulla responsabilità personale del controllo del proprio peso come veicolo di propria salute può anzi promuovere un senso di impotenza nella maggior parte delle persone che -per questioni non dipendenti dal loro controllo- non ha accesso a molte risorse o strumenti di alimentazione, esercizio fisico…peggiorando la loro salute psicologica ma anche portando all’abbandono di qualsiasi tentativo di cura di sé possibilmente accessibile perché sembrerebbe inutile. (162, 163, 229)

Citando David Tuckett in “Introduzione alla Sociologia Medica”  1976 : «I medici al giorno d’oggi sono chiamati a trattare i cambiamenti intervenuti nei tipi di malattie; i cambiamenti nell’organizzazione delle cure mediche, nello stile e contenuto delle procedure; l’indagine sulla quantità di fattori che portano i pazienti a chiedere aiuto – tutto porta a considerare che un medico, ormai, non ha solo la necessità di capire e trattare la patologia organica, ma necessita anche di avere padronanza dei principi che governano le relazioni interpersonali ed il funzionamento organizzativo, cosi come di capire le forze che influenzano il comportamento in situazioni sociali e l’ambiente sociale dal quale viene il suo paziente’» (p.10)

RICAPITOLANDO…

Anche assumendo che il dato statistico rilevato nei primi e precedenti fat-studies che mostrerebbe invece una associazione, una correlazione statistica maggiore tra aumento di peso, morbidità (problemi di salute) e mortalità sia vero…non è in ogni caso dimostrato che:
1) esista una causalità diretta a tra peso e morbidità/mortalità che confermi il fatto che il peso o l’adiposità sia “la causa di” problemi di salute
2) il peso sia frutto della responsabilità della persona, della sua forza di volontà ed autocontrollo
3) le diete dimagranti siano efficaci a lungo termine (anzi, abbiamo dati che testimoniano il tasso di fallimento elevatissimo)
4) il dimagrimento forzato migliori la salute delle persone grasse e/o le condizioni patologiche di cui potrebbero soffrire
5) l’unico modo per migliorare la salute di una persona grassa è attraverso il dimagrimento

L’ALTERNATIVA: GLI APPROCCI H.A.E.S.® 

Gli approcci alla salute H.A.E.S. detti anche “approcci non focalizzati sul peso, inclusivi al peso, non prescrittivi” ripartono quindi dall’assunzione che ogni persona può essere in salute e provare benessere indipendentemente dal suo peso, SE le viene fornito accesso a cure non stigmatizzanti.
Questo approccio si basa sull’evidenza che dove anche ci sono legami tra pesi molto elevati e problemi di salute, l’evidenza sul ruolo di altri fattori determinanti della salute è più forte: non essendo inoltre il peso un parametro sotto il pieno controllo e di fronte agli effetti collaterali noti delle diete dimagranti (tra cui anche la tendenza all’aumento di peso), invita quindi a concentrarsi su fattori determinanti della salute indipendenti al peso.
In questa cornice, quindi, la riduzione del peso non è un obiettivo ricercato.

Si potrebbe quindi pensare che gli approcci H.A.E.S. non promuovendo un controllo del peso,  promuovano di conseguenza un abbandono delle cure dell’alimentazione e dello stile di vita, e che l’insoddisfazione corporea sia un fattore migliorativo sulla salute, ma i dati che seguono dimostrano che non è così.
Di fatto gli studi RCT sugli approcci H.A.E.S. dimostrano (74) come il fatto di prendersi cura della persona senza imporle un dimagrimento forzato attraverso una manipolazione forzata della sua dieta (una dieta ipocalorica) o dell’esercizio fisico, bensì attraverso altri strumenti di benessere non prescrittivi e non focalizzati sul peso*, ne migliora in modo statisticamente significativo le abitudini alimentari (2,64-73, 77, 213), di stile di vita (213), le condizioni di benessere e salute, i parametri fisiologici e metabolici (es pressione, lipidemia, sensibilità insulinica, fitness aerobica e cardiovascolare) (105), ma migliora anche il suo rapporto con il cibo e il corpo favorendo una maggiore accettazione (78,79, 213), autostima ed umore (76, 213), dove questo produce un circolo virtuoso sulle possibilità di prendersi cura di sé. Cito in particolare questo studio (125) che mette a confronto gli approcci focalizzati sul peso e quelli inclusivi al peso.
Tutto questo accade a prescindere dai cambiamenti di peso, ovvero anche quando il peso non rientra nel cosiddetto “normopeso” e/o il dimagrimento non soddisfa le aspettative che avrebbe un approccio focalizzato-sul-peso. Insomma, condizioni mediche comuni anche nelle persone definite “ob*ese”, incluse ipertensione, diabete di tipo 2, iperlipidemia e OSAS – come dimostrato nei paragrafi precedenti- possono essere gestite con interventi diretti e terapie farmacologiche piuttosto che non affidandosi alla perdita di peso forzata come “terapia primaria” (83).
Ma soprattutto, l’ aspetto più significativo riguardo gli approcci H.A.E.S. è che -a differenza degli approcci prescrittivi di dimagrimento- è che non dimostrano alcun effetto collaterale e hanno invece un tasso di mantenimento dei risultati molto più elevato (74).

*QUALI SONO I PRINCIPI DEGLI APPROCCI H.A.E.S.®?

– primum non nocere
– eradicare ogni forma di stigma sul peso e pratiche mediche basate su di esso. Rispettare, non giudicare, non patologizzare il peso di una persona
– riconoscere che i corpi esistono in tutte le taglie e in tutti i pesi, che il peso non è il risultato di scelte personali ma in primis di fattori genetici e biologici, che il peso non è modificabile a piacere e che la salute non è vincolata al peso o alla taglia o alle forme di una persona
– non imporre un controllo o suggerire come obiettivo di salute una riduzione del peso
– assicurare che strumenti di salute e benessere siano forniti a tutte le persone in modo indipendente dal loro peso
– poiché la salute è multidimensionale, è importante mantenere un approccio olistico che ne consideri tutte le sfaccettature, concentrandosi su quelle modificabili dalla persona
– riconoscere che esistono fattori non modificabili della salute (es genetica)
– riconoscere che esistono fattori modificabili della salute che però non sono di responsabilità della persona, ma sociali, culturali, politici, ambientali: ridurre quindi le disuguaglianze e adottare misure politiche per rendere l’accesso alla salute e al benessere più inclusivi
– riconoscere che salute e benessere sono costrutti soggettivi e dinamici: gli obiettivi di salute devono essere autodeterminati e poter rispondere ai cambiamenti a cui la persona va incontro
– focalizzarsi più sul processo che non su obiettivi finali, puntando a migliorare la qualità di vita giorno per giorno

*QUALI SONO GLI STRUMENTI DEGLI APPROCCI H.A.E.S.®?

– misure politiche, sociali e culturali per ridurre la grassofobia interiorizzata, promuovere l’accettazione e il reinserimento sociale, rimuovere i fattori che riducono l’accesso a cure mediche di qualità non stigmatizzanti per le persone grasse; in generale, promuovere giustizia sociale, autonomia e accesso alle cure
– strumenti culturali, educativi, psicologici volti a comprendere e decostruire la grassofobia e la cultura della dieta e della magrezza interiorizzata, riducendo il weight-stigma
– la cura della salute psicologica, della gestione emotiva e della relazione con il corpo
– la cura dell’alimentazione e del rapporto con il cibo attraverso un approccio intuitivo all’alimentazione. Alimentazione intuitiva è l’opposto della dieta, del seguire regole, schemi, indicazioni esterne: significa mangiare ascoltando, capendo e validando tutti i bisogni legati al cibo (nutrizionale, benessere digestivo, intestinale, energie, bisogni specifici relativi a patologie, emotivo, pratico-economico, organizzativo, culturale e sociale, conviviale, etico)  ascoltando in particolare i propri segnali regolatori interni (fame, appetito, sazietà, digestione, pesantezza, regolarità intestinale, energie) e facendo esperienza di “come ci fa sentire (ogni) cibo a breve e lungo termine” per realizzare le migliori scelte alimentari funzionali utili e possibili di benessere a 360°.
– il supporto a intraprendere e costruire una regolare pratica di attività fisica che rispetti le possibilità, i bisogni e le preferenze della persona, in modo non forzato e vincolato a “ideali di movimento”
– supportare un buon riposo e sonno, determinanti diretti e indiretti (attraverso l’influenza sul comportamento alimentare e il movimento) della salute

QUALI SONO GLI OBIETTIVI E I RISULTATI SU CUI SI MISURANO GLI APPROCCI H.A.E.S.®?

Quindi se il focus e l’obiettivo degli approcci classici è “perdere peso”, “dimagrire”, “controllare il peso”…il focus e l’obiettivo degli approcci non focalizzati e inclusivi al peso H.A.E.S  è occuparsi di tutti quelli che sono i molteplici fattori e strumenti di cura, benessere e salute e lasciare che il peso si autodetermini secondo quello che è l’ attuale range di peso e grasso naturale di benessere del corpo, aiutare la persona a comprenderlo e accoglierlo ridimensionando la grassofobia interiorizzata e ridurre lo stigma legato al peso.
Cos’è il range di peso e grasso naturale di benessere ?
È quel range di peso -quindi non un numero fisso, perché il peso oscilla anche da un giorno all’altro per cambiamenti soprattutto idrici, ormonali, del peso di cibo ingerito o espulso- e di adipe che il corpo in un certo periodo mantiene spontaneamente seguendo una alimentazione generalmente equilibrata, flessibile, intuitiva, una moderata attività fisica e assumendo eventuali necessarie terapie, stando al meglio delle proprie condizioni di salute, funzioni fisiologiche, energia, forza e benessere psico-sociale. È un range di peso e di composizione corporea che è regolato e controllato da una complessa rete di feedback ormonali e metabolici in primis dipendenti dalla genetica, ma anche in parte dall’intake energetico e nutrizionale (116): insomma, è il risultato dell’intersezione di tantissimi parametri più o meno modificabili, alcuni predefiniti, e non il semplice risultato di una equazione tra entrate/uscite modificabile con la propria forza di volontà (120).
Non c’è quindi un peso ideale da raggiungere e mantenere, o controllare o un “obiettivo di peso”, o dei “chili di troppo” (di troppo rispetto a cosa??). Si sposta il focus dal peso, si accoglie il fatto che il peso cambi nel corso della vita di una persona in base alla sua età, al suo stile di vita e allo stile di vita del periodo, ad aspetti fisiologici (es gravidanza, menopausa, invecchiamento).
Il peso -come la frequenza cardiaca, la pressione – non è tutto: è un parametro, una variabile che -se approfondito- ci può dire qualcosa di quello che succede nel nostro corpo…dovremmo quindi se proprio osservarlo, capirlo, capire cosa ci sta dietro…non farne un obiettivo o rapportarlo a valori “ideali assoluti” che non esistono.

E allora è anche essendo meno focalizzati sul peso e sul grasso e sull’aspetto ed essendo più connessi con l’ascolto e il rispetto del corpo sperimentando i benefici concreti che derivano da questo cambio di approccio che gradualmente si sviluppa anche una maggiore accettazione del proprio corpo, si è semplicemente meno portati a pensare di poterlo o doverlo cambiare senza compromettere la propria salute o il proprio benessere e lentamente si sviluppa una maggiore autostima e sicurezza (anche perché ci si ritrova più energici, meno irritabili, meno pensierosi e preoccupati, si trova anche più spazio e voglia di fare movimento di benessere e scoprire e coltivare altri aspetti di vita utili a contribuire all’autovalutazione di sé e all’autorealizzazione).

 

Insomma….spero che con questo articolo abbia compreso perché le diete e gli approcci focalizzati sul peso o dimagranti falliscano e non siano strumenti di benessere, perché possiamo accettare corpi di tutte le taglie e come è possibile prendersi cura della propria salute, alimentazione ed esercizio fisico e della relazione con cibo e corpo.

Detto questo, la comprensione di questo, della grassofobia e di tutto ciò che implica può non sollevarti immediatamente dal desiderio di dimagrire, perdere peso, conformarti e fare una dieta per migliorare la tua immagine corporea e autostima: è normale, non c’è nulla di sbagliato in te. La decostruzione richiede tempo e soprattutto di costruire insieme nuovi strumenti per nutrire sia salute, sia una immagine corporea positiva. Scopri di più sui percorsi con cui possiamo lavorarci insieme!

BIBLIOGRAFIA

1) Kruger J, Galuska DA, Serdula MK, Jones DA: Attempting to lose weight: specific practices among U.S. adults. Am J Prev Med 2004, 26:402-406.
2) Ciliska D: Evaluation of two nondieting interventions for obese women. West J Nurs Res 1998, 20:119-135.
3) Fagard RH: Physical activity in the prevention and treatment of hypertension in the obese. Med Sci Sports Exerc 1999, 31:S624-630. 142. Appel LJ, Moore TJ, Obarzanek E, Vollmer WM, Svetkey LP, Sacks FM,
4)Bray GA, Vogt TM, Cutler JA, Windhauser MM, et al: A clinical trial of the effects of dietary patterns on blood pressure. N Engl J Med 1997, 33:1117-1124.
5) Gaesser GA: Exercise for prevention and treatment of cardiovascular disease, type 2 diabetes, and metabolic syndrome. Curr Diab Rep 2007, 7:14-19.
6) Kraus WE, Houmard JA, Duscha BD, Knetzger KJ, Wharton MB, McCartney JS, Bales CW, Henes S, Samsa GP, Otvos JD, et al: Effects of the amount and intensity of exercise on plasma lipoproteins. N Engl J Med 2002, 347:1483-1492.
7) Lamarche B, Despres JP, Pouliot MC, Moorjani S, Lupien PJ, Theriault G, Tremblay A, Nadeau A, Bouchard C: Is body fat loss a determinant factor in the improvement of carbohydrate and lipid metabolism following aerobic exercise training in obese women? Metabolism 1992, 41:1249-1256.
8) Odeleye OE, de Courten M, Pettitt DJ, Ravussin E: Fasting hyperinsulinemia is a predictor of increased body weight gain and obesity in Pima Indian children. Diabetes 1997, 46:1341-1345.
9) Sigal RJ, El-Hashimy M, Martin BC, Soeldner JS, Krolewski AS, Warram JH: Acute postchallenge hyperinsulinemia predicts weight gain: a prospective study. Diabetes 1997, 46:1025-1029.
10) Yost TJ, Jensen DR, Eckel RH: Weight regain following sustained weight reduction is predicted by relative insulin sensitivity. Obes Res 1995, 3:583-587.
11) Halberg N, Henriksen M, Söderhamn N, Stallknecht B, Ploug T, Schjerling P, Dela F: Effect of intermittent fasting and refeeding on insulin action in healthy men. J Appl Physiol 2005, 99:2128-2136.
12) Akram DS, Astrup AV, Atinmo T, Boisson JL, Bray GA, Carroll KK, Chunming C, Chitson P, Dietz WH, Hill JO, et al: Obesity: Preventing and managing the global epidemic. Report of a WHO consultation on obesity Geneva, Switzerland: World Health Organization; 1997.
13) Bjorntorp P, DeJounge K, Sjostrom L, Sullivan L: The effect of physical training on insulin production in obesity. Metabolism 1970, 19:631-638.
14) Ernsberger P, Koletsky RJ, Baskin JZ, Collins LA: Consequences of weight cycling in obese spontaneously hypertensive rats. Am J Physiol 1996, 270: R864-R872.
15) Ernsberger P, Koletsky RJ, Baskin JZ, Foley M: Refeeding hypertension in obese spontaneously hypertensive rats. Hypertension 1994, 24:699-705. 16) Montani JP, Viecelli AK, Prevot A, Dulloo AG: Weight cycling during growth and beyond as a risk factor for later cardiovascular diseases: the ‘repeated overshoot’ theory. Int J Obes (Lond) 2006, 30(Suppl 4):S58-66.
17)Lissner L, Odell PM, D’Agostino RB, Stokes J, Kreger BE, Belanger AJ, Brownell KD: Variability of body weight and health outcomes in the
Framingham population. N Engl J Med 1991, 324:1839-1844.
18) Diaz VA, Mainous AG, Everett CJ: The association between weight fluctuation and mortality: results from a population-based cohort study.
J Community Health 2005, 30:153-165.
19) McDermott R: Ethics, Epidemiology, and the Thrifty Gene: Biological Determinism as a Health Hazard. Soc Sci Med 1998, 47:1189-1195.
20) Bacon L, Stern JS, Keim NL, Van Loan MD: Low bone mass in premenopausal chronic dieting obese women. Eur J Clin Nutr 2004, 58:966-971.
21) Van Loan MD, Keim NL: Influence of cognitive eating restraint on total- body measurements of bone mineral density and bone mineral content in premenopausal women 18-45 y: a cross-sectional study. Am J Clin Nutr 2000, 72:837-843.
22) Van Loan MD, Bachrach LK, Wang MC, Crawford PB: Effect of drive for thinness during adolescence on adult bone mass. J Bone Miner Res 2000, 15:S412.
23) Barr SI, Prior JC, Vigna YM: Restrained eating and ovulatory disturbances: Possible implications for bone health. Am J Clin Nutr 1994, 59:92-97.
24) Tomiyama AJ, Mann T, Vinas D, Hunger JM, Dejager J, Taylor SE: Low calorie dieting increases cortisol. Psychosom Med 2010, 72:357-364.
25)Lee DH, Lee IK, Song K, Steffes M, Toscano W, Baker BA, Jacobs DR Jr: A strong dose-response relation between serum concentrations of persistent organic pollutants and diabetes: results from the National Health and Examination Survey 1999-2002. Diabetes Care 2006, 29:1638-1644.
26) Carpenter DO: Environmental contaminants as risk factors for developing diabetes. Rev Environ Health 2008, 23:59-74.
27) Ha MH, Lee DH, Jacobs DR: Association between serum concentrations of persistent organic pollutants and self-reported cardiovascular disease prevalence: results from the National Health and Nutrition Examination Survey, 1999-2002. Environ Health Perspect 2007, 115:1204-1209.
28) Lee DH, Steffes M, Jacobs DR: Positive associations of serum concentration of polychlorinated biphenyls or organochlorine pesticides with self-reported arthritis, especially rheumatoid type, in women. Environ Health Perspect 2007, 115:883-888.
29) Chevrier J, Dewailly E, Ayotte P, Mauriege P, Despres JP, Tremblay A: Body weight loss increases plasma and adipose tissue concentrations of potentially toxic pollutants in obese individuals. Int J Obes Relat Metab Disord 2000, 24:1272-1278.
30) Lim JS, Son HK, Park SK, Jacobs DR Jr, Lee DH: Inverse associations between long-term weight change and serum concentrations of persistent organic pollutants. Int J Obes (Lond) 2010.
31)Bacon L: Health at Every Size: The Surprising Truth About Your Weight. Second edition. Dallas: BenBella Books; 2010.
32) Puhl RM, Andreyeva T, Brownell KD: Perceptions of weight discrimination: prevalence and comparison to race and gender discrimination in America. Int J Obes (Lond) 2008, 32:992-1000.
33). Brownell K, Puhl R, Schwartz M, Rudd LE: Weight bias: Nature, consequences, and remedies New York: Guilford; 2005.
34)Puhl R, Brownell K: Bias, discrimination and obesity. Obes Res 2001, 9:788-805. 140. Puhl RM, Heuer CA: The stigma of obesity: a review and update. Obesity (Silver Spring) 2009, 17:941-964.
35)Puhl RM, Heuer CA: The stigma of obesity: a review and update. Obesity (Silver Spring). 2009, 17: 941-964. 10.1038/oby.2008.636.
36) Flegal KM, Graubard BI, Williamson DF, Gail MH: Excess deaths associated with underweight, overweight, and obesity. JAMA 2005, 293:1861-1867.
37) Durazo-Arvizu R, McGee D, Cooper R, Liao Y, Luke A: Mortality and optimal body mass index in a sample of the US population. Am J Epidemiol 1998, 147:739-749.
38) Troiano R, Frongillo E Jr, Sobal J, Levitsky D: The relationship between body weight and mortality: A quantitative analysis of combined information from existing studies. Int J Obes Relat Metab Disord 1996, 20:63-75.
39) Flegal K, Graubard B, Williamson D, Gail M: Supplement: Response to “Can Fat Be Fit”. Sci Am 2008, 297:5-6.
40) Janssen I, Mark AE: Elevated body mass index and mortality risk in the elderly. Obes Rev 2007, 8:41-59.
41) Lantz PM, Golberstein E, House JS, Morenoff J: Socioeconomic and behavioral risk factors for mortality in a national 19-year prospective study of U.S. adults. Soc Sci Med 2010, 70:1558-1566.
42) Kulminski AM, Arbeev KG, Kulminskaya IV, Ukraintseva SV, Land K, Akushevich I, Yashin AI: Body mass index and nine-year mortality in disabled and nondisabled older U.S. individuals. J Am Geriatr Soc 2008, 56:105-110.

43) Ross C, Langer RD, Barrett-Connor E: Given diabetes, is fat better than thin? Diabetes Care 1997, 20:650-652.
44) Barrett-Connor E, Khaw K: Is hypertension more benign when associated with obesity? Circulation 1985, 72:53-60.
45) Barrett-Connor EL: Obesity, atherosclerosis and coronary artery disease. Ann Intern Med 1985, 103:1010-1019.
46) Morse S, Gulati R, Reisin E: The obesity paradox and cardiovascular disease. Curr Hypertens Rep 2010, 12:120-126.
47) Kang X, Shaw LJ, Hayes SW, Hachamovitch R, Abidov A, Cohen I, Friedman JD, Thomson LE, Polk D, Germano G, Berman DS: Impact of body mass index on cardiac mortality in patients with known or suspected coronary artery disease undergoing myocardial perfusion single-photon emission computed tomography. J Am Coll Cardiol 2006, 47:1418-1426.
48) Gruberg L, Mercado N, Milo S, Boersma E, Disco C, van Es GA, Lemos PA, Ben Tzvi M, Wijns W, Unger F, et al: Impact of body mass index on the outcome of patients with multivessel disease randomized to either coronary artery bypass grafting or stenting in the ARTS trial: The obesity paradox II? Am J Cardiol 2005, 95:439-444.
49) Lavie CJ, Osman AF, Milani RV, Mehra MR: Body composition and prognosis in chronic systolic heart failure: the obesity paradox. Am J Cardiol 2003, 91:891-894.
50)Beddhu S: The body mass index paradox and an obesity, inflammation, and atherosclerosis syndrome in chronic kidney disease. Seminars in Dialysis 2004, 17:229-232.
51) Schmidt DS, Salahudeen AK: Obesity-survival paradox-still a controversy? Semin Dial 2007, 20:486-492.
52) Childers D, Allison D: The ‘obesity paradox’: a parsimonious explanation for relations among obesity, mortality rate and aging? Int J Obes (Lond) 2010, 34:1231-1238.
53) Mann T, Tomiyama AJ, Westling E, Lew AM, Samuels B, Chatman J: Medicare’s Search for Effective Obesity Treatments: Diets Are Not the Answer. Am Psychol 2007, 62:220-233.
54) National Institutes of Health (NIH): Methods for voluntary weight loss and control (Technology Assessment Conference Panel). Ann Intern Med 1992, 116:942-949.
55) Stice E, Cameron RP, Killen JD, Hayward C, Taylor CB: Naturalistic weight- reduction efforts prospectively predict growth in relative weight and onset of obesity among female adolescents. J Consult Clin Psychol 1999, 67:967-974.
56) Coakley EH, Rimm EB, Colditz G, Kawachi I, Willett W: Predictors of weight change in men: Results from the Health Professionals Follow-Up Study. Int J Obes Relat Metab Disord 1998, 22:89-96.
57) Bild DE, Sholinksy P, Smith DE, Lewis CE, Hardin JM, Burke GL: Correlates and predictors of weight loss in young adults: The CARDIA study. Int J Obes Relat Metab Disord 1996, 20:47-55.
58) Korkeila M, Rissanen A, Kapriio J, Sorensen TIA, Koskenvuo M: Weight-loss attempts and risk of major weight gain. Am J Clin Nutr 1999, 70:965-973.
59) Neumark-Sztainer D, Wall M, Guo J, Story M, Haines J, Eisenberg M: Obesity, disordered eating, and eating disorders in a longitudinal study of adolescents: how do dieters fare 5 years later? J Am Diet Assoc 2006, 106:559-568.
60) Field AE, Austin SB, Taylor CB, Malspeis S, Rosner B, Rockett HR,Gillman MW, Colditz GA: Relation between dieting and weight change among preadolescents and adolescents. Pediatrics 2003, 112:900-906.
61) Gregg EW, Gerzoff RB, Thompson TJ, Williamson DF: Intentional weight loss and death in overweight and obese U.S. adults 35 years of age and older. Ann Intern Med 2003, 138:383-389.
62) Sjostrom L, Lindroos AK, Peltonen M, Torgerson J, Bouchard C, Carlsson B, Dahlgren S, Larsson B, Narbro K, Sjostrom CD, et al: Lifestyle, diabetes, and cardiovascular risk factors 10 years after bariatric surgery. N Engl J Med 2004, 351:2683-2693.
63) Christou NV, Look D, Maclean LD: Weight gain after short- and long-limb gastric bypass in patients followed for longer than 10 years. Ann Surg 2006, 244:734-740.
64) Miller WC, Wallace JP, Eggert KE, Lindeman AK: Cardiovascular risk reduction in a self-taught, self-administered weight loss program called the nondiet diet. Med Exerc Nutr Health 1993, 2:218-223.
65) Rapoport L, Clark M, Wardle J: Evaluation of a modified cognitive-behavioural programme for weight management. Int J Obes 2000, 24:1726-1737.
66) Provencher V, Begin C, Tremblay A, Mongeau L, Corneau L, Dodin S, Boivin S, Lemieux S: Health-at-every-size and eating behaviors: 1-year follow-up results of a size acceptance intervention. J Am Diet Assoc 2009, 109:1854-1861.
67) Mensinger J, Close H, Ku J: Intuitive eating: A novel health promotion strategy for obese women. Paper presented at American Public Health Association. Philadelphia, PA 2009.
68) Bacon L, Keim N, Van Loan M, Derricote M, Gale B, Kazaks A, Stern J: Evaluating a “Non-diet” Wellness Intervention for Improvement of Metabolic Fitness, Psychological Well-Being and Eating and Activity Behaviors. Int J Obes 2002, 26:854-865.
69) Provencher V, Bégin C, Tremblay A, Mongeau L, Boivin S, Lemieux S: Short- term effects of a “health-at-every-size” approach on eating behaviors and appetite ratings. Obesity (Silver Spring) 2007, 15:957-966.
70) Steinhardt M, Bezner J, Adams T: Outcomes of a traditional weight control program and a nondiet alternative: a one-year comparison. J Psychol 1999, 133:495-513.
71) Carrier KM, Steinhardt MA, Bowman S: Rethinking traditional weight management programs: A 3-year follow-up evaluation of a new approach. J Psychol 1993, 128:517-535.
72) Omichinski L, Harrison KR: Reduction of dieting attitudes and practices after participation in a non-diet lifestyle program. J Can Diet Assoc 1995, 56:81-85.
73) Polivy J, Herman CP: Undieting: A program to help people stop dieting. Int J Eat Disord 1992, 11:261-268.
74) Bacon, L., Aphramor, L. Weight Science: Evaluating the Evidence for a Paradigm Shift. Nutr J 10, 9 (2011). https://doi.org/10.1186/1475-2891-10-9
75) Neumark-Sztainer D: Preventing obesity and eating disorders in adolescents: what can health care providers do? J Adolesc Health 2009, 44:206-213.
76) Bacon L, Stern J, Van Loan M, Keim N: Size acceptance and intuitive eating improve health for obese, female chronic dieters. J Am Diet Assoc 2005, 105:929-936.
77) Goodrick GK, Poston WSC II, Kimball KT, Reeves RS, Foreyt JP: Nondieting versus dieting treatment for overweight binge-eating women. J Consult Clin Psychol 1998, 66:363-368.
78) Roughan P, Seddon E, Vernon-Roberts J: Long-term effects of a psychologically based group programme for women preoccupied with body weight and eating behaviour. Int J Obes 1990, 14:135-147.
79) Higgins L, Gray W: Changing the body image concern and eating behaviour of chronic dieters: the effects of a psychoeducational intervention. Psychol and Health 1998, 13:1045-1060.
80) Miller WC: How effective are traditional dietary and exercise interventions for weight loss? Med Sci Sports Exerc 1999, 31:1129-1134.
81) Aphramor L: Validity of claims made in weight management research: a narrative review of dietetic articles. Nutr J 2010, 9:30.
82) Ernsberger P, Haskew P: Health implications of obesity: An alternative view. J of Obesity and Weight Regulation 1987, 9:39-40.
83) Ernsberger P, Koletsky RJ: Biomedical rationale for a wellness approach to obesity: An alternative to a focus on weight loss. J Soc Issues 1999, 55:221-260.
84) Lavie CJ, Milani RV, Ventura HO: Obesity, heart disease, and favorable prognosis–truth or paradox? Am J Med 2007, 120:825-826.
85) Strohacker K, McFarlin B: Influence of obesity, physical inactivity, and weight cycling on chronic inflammation. Front Biosci 2010, E2:98-104.
86) Olson MB, Kelsey SF, Bittner V, Reis SE, Reichek N, Handberg EM, Merz CN: Weight cycling and high-density lipoprotein cholesterol in women: evidence of an adverse effect: a report from the NHLBI-sponsored WISE study. Women’s Ischemia Syndrome Evaluation Study Group. J Am Coll Cardiol 2000, 36:1565-1571.
87) French SA, Jeffrey RW, Forster JL, McGovern PG, Kelder SH, Baxter J: Predictors of weight change over two years among a population of
working adults: The Healthy Worker Project. Int J Obes 1994, 18:145-154.
88) Guagnano MT, Pace-Palitti V, Carrabs C, Merlitti D, Sensi S: Weight fluctuations could increase blood pressure in android obese women.
Clinical Sciences (London) 1999, 96:677-680.
89) Rzehak P, Meisinger C, Woelke G, Brasche S, Strube G, Heinrich J: Weight change, weight cycling and mortality in the ERFORT Male Cohort Study. Eur J Epidemiol 2007, 22:665-673.
90) Charles MA, Pettitt DJ, Saad MF, Nelson RG, Bennett PH, Knowler WC: Development of impaired glucose tolerance with or without weight
gain. Diabetes Care 1993, 16:593-596.
91) Weinsier RL, Norris DJ, Birch R, Bernstein RS, Wang J, Yang MU, Pierson RN Jr, Van Itallie TB: The relative contribution of body fat and fat pattern to blood pressure level. Hypertension 1985, 7:578-585.
92) Ernsberger P, Nelson DO: Effects of fasting and refeeding on blood pressure are determined by nutritional state, not by body weight change. Am J Hypertens 1988, 153S-157S.
93) Schulz M, Liese A, Boeing H, Cunningham J, Moore C, Kroke A: Associations of short-term weight changes and weight cycling with incidence of essential hypertension in the EPIC-Potsdam Study. J Hum Hypertens 2005, 19:61-67.
94) Cambien F, Chretien J, Ducimetiere L, Guize L, Richard J: Is the relationship between blood pressure and cardiovascular risk dependent on body mass index? Am J Epidemiol 1985, 122:434-442.
95) Uretsky S, Messerli FH, Bangalore S, Champion A, Cooper-Dehoff RM, Zhou Q, Pepine CJ: Obesity paradox in patients with hypertension and coronary artery disease. Am J Med 2007, 120:863-870.
96) Messerli FH: Cardiovascular adaptations to obesity and arterial hypertension: detrimental or beneficial? Int J Cardiol 1983, 3:94-97.
97) Andres R, Muller DC, Sorkin JD: Long-term effects of change in body weight on all-cause mortality. A review. Ann Intern Med 1993, 119:737-743.
98) Yaari S, Goldbourt U: Voluntary and involuntary weight loss: associations with long term mortality in 9,228 middle-aged and elderly men. Am J Epidemiol 1998, 148:546-555.
99) Sørensen T, Rissanen A, Korkeila M, Kaprio J: Intention to lose weight, weight changes, and 18-y mortality in overweight individuals without co- morbidities. PLoS Med 2005, 2:E171.
100. Simonsen MK, Hundrup YA, Obel EB, Gronbaek M, Heitmann BL: Intentional weight loss and mortality among initially healthy men and women. Nutr Rev 2008, 66:375-386.
101) Ingram DD, Mussolino ME: Weight loss from maximum body weight and mortality: the Third National Health and Nutrition Examination Survey Linked Mortality File. Int J Obes 2010, 34:1044-1050.
102) Manning RM, Jung RT, Leese GP, Newton RW: The comparison of four weight reduction strategies aimed at overweight patients with diabetes mellitus: four-year follow-up. Diabet Med 1998, 15:497-502.
103) Ciliska D, Kelly C, Petrov N, Chalmers J: A review of weight loss interventions for obese people with non-insulin dependent diabetes mellitus. Can J of Diabetes Care 1995, 19:10-15.
104) Aphramor L: Is A Weight-Centred Health Framework Salutogenic? Some Thoughts on Unhinging Certain Dietary Ideologies. Social Theory and Health 2005, 3:315-340.
105) Aphramor L: Weight management as a cardioprotective intervention raises issues for nutritional scientists regarding clinical ethics. Proc Nut Soc 2009, 67:E401.
106)Holm S: Obesity interventions and ethics. Obes Rev 2007, 8(Suppl 1):207-210.
107) Faith MS, Leone MA, Ayers TS, Heo M, Pietrobelli A: Weight criticism during physical activity, coping skills, and reported physical activity in children. Pediatrics 2002, 110:e23.
108) Storch EA, Milsom VA, Debraganza N, Lewin AB, Geffken GR, Silverstein JH: Peer victimization, psychosocial adjustment, and physical activity in overweight and at-risk-for-overweight youth. J Pediatr Psychol 2007, 32:80-89.
109) Vartanian LR, Shaprow JG: Effects of weight stigma on exercise motivation and behavior: a preliminary investigation among college- aged females. J Health Psychol 2008, 13:131-138.
110) Amy N, Aalborg A, Lyons P, Keranen L: Barriers to routine gynecological cancer screening for White and African-American obese women. Int J Obes Relat Metab Disord 2006, 30:147-155.
111) Puhl R, Heuer C: Obesity Stigma: Important Considerations for Public Health. Am J Public Health 2010, 100:1019-1028.
112) Chandola T, Brunner E, Marmot M: Chronic stress at work and the metabolic syndrome: prospective study. BMJ 2006, 332:521-525.
113) Vitaliano PP, Scanlan JM, Zhang J, Savage MV, Hirsch IB, Siegler IC: A path model of chronic stress, the metabolic syndrome, and coronary heart disease. Psychosom Med 2002, 64:418-435.
114) Raikkonen K, Matthews KA, Kuller LH: The relationship between psychological risk attributes and the metabolic syndrome in healthy women: antecedent or consequence? Metabolism 2002, 51:1573-1577.
115) Aphramor L: Disability and the Anti-Obesity Offensive. Disability & Society 2009, 24:897-909.
116) Müller MJ, Bosy-Westphal A, Heymsfield SB. Is there evidence for a set point that regulates human body weight? F1000 Med Rep. 2010 Aug 9;2:59. doi: 10.3410/M2-59. PMID: 21173874; PMCID: PMC2990627.
117)Leibel RL, Hirsch J. Diminished energy requirements in reduced-obese patients. Metabolism. 1984 Feb;33(2):164-70. doi: 10.1016/0026-0495(84)90130-6. PMID: 6694559.
118)Salans LB, Horton ES, Sims EA. Experimental obesity in man: cellular character of the adipose tissue. J Clin Invest. 1971 May;50(5):1005-11. doi: 10.1172/JCI106570. PMID: 5552403; PMCID: PMC292021.
119)Robinson E, Marty L, Higgs S, Jones A. Interoception, eating behaviour and body weight. Physiol Behav. 2021 Aug 1;237:113434. doi: 10.1016/j.physbeh.2021.113434. Epub 2021 Apr 24. PMID: 33901529.
120)Harris RB. Role of set-point theory in regulation of body weight. FASEB J. 1990 Dec;4(15):3310-8. doi: 10.1096/fasebj.4.15.2253845. PMID: 2253845.
121)Kassirer JP, Angell M. Losing weight–an ill-fated New Year’s resolution. N Engl J Med. 1998 Jan 1;338(1):52-4. doi: 10.1056/NEJM199801013380109. PMID: 9414332.
122) Stevens J, Cai J, Pamuk ER, Williamson DF, Thun MJ, Wood JL. The effect of age on the association between body-mass index and mortality. N Engl J Med. 1998 Jan 1;338(1):1-7. doi: 10.1056/NEJM199801013380101. PMID: 9414324.
123) Lee JA, Pausé CJ. Stigma in Practice: Barriers to Health for Fat Women. Front Psychol. 2016 Dec 30;7:2063. doi: 10.3389/fpsyg.2016.02063. PMID: 28090202; PMCID: PMC5201160.
124) Vadiveloo M, Mattei J. Perceived Weight Discrimination and 10-Year Risk of Allostatic Load Among US Adults. Ann Behav Med. 2017 Feb;51(1):94-104. doi: 10.1007/s12160-016-9831-7. Erratum in: Ann Behav Med. 2017 Feb;51(1):105. PMID: 27553775; PMCID: PMC5253095.
125) Tracy L. Tylka, Rachel A. Annunziato, Deb Burgard, Sigrún Daníelsdóttir, Ellen Shuman, Chad Davis, Rachel M. Calogero, “The Weight-Inclusive versus Weight-Normative Approach to Health: Evaluating the Evidence for Prioritizing Well-Being over Weight Loss”, Journal of Obesity, vol. 2014, Article ID 983495, 18 pages, 2014. https://doi.org/10.1155/2014/983495
126) P. M. Nilsson, “Is weight loss beneficial for reduction of morbidity and mortality? What is the controversy about?” Diabetes Care, vol. 31, no. 2, pp. S278–S283, 2008.
127) R. W. Jeffery, L. H. Epstein, G. T. Wilson et al., “Long-term maintenance of weight loss: current status,” Health Psychology, vol. 19, no. 1, pp. 5–16, 2000.
View at: Publisher Site | Google Scholar
128) R. R. Wing and S. Phelan, “Long-term weight loss maintenance,” The American Journal of Clinical Nutrition, vol. 82, no. 1, pp. 222S–225S, 2005.
129)L. K. Allen-Scott, J. M. Hatfield, and L. McIntyre, “A scoping review of unintended harm associated with public health interventions: towards a typology and an understanding of underlying factors,” International Journal of Public Health, vol. 59, no. 1, pp. 3–14, 2014.
130) P. Monsivais and A. Drewnowski, “Lower-energy-density diets are associated with higher monetary costs per kilocalorie and are consumed by women of higher socioeconomic status,” Journal of the American Dietetic Association, vol. 109, no. 5, pp. 814–822, 2009.
131) A. Drewnowski, “The cost of US foods as related to their nutritive value,” The American Journal of Clinical Nutrition, vol. 92, no. 5, pp. 1181–1188, 2010.
132) P. Monsivais and A. Drewnowski, “The rising cost of low-energy-density foods,” Journal of the American Dietetic Association, vol. 107, no. 12, pp. 2071–2076, 2007.
133) J. Beaulac, E. Kristjansson, and S. Cummins, “A systematic review of food deserts, 1966–2007,” Preventing Chronic Disease: Public Health Research, Practice, and Policy, vol. 6, no. 3, pp. 1–10, 2009.
134) N. I. Larson, M. T. Story, and M. C. Nelson, “Neighborhood Environments: disparities in access to healthy foods in the U.S.,” American Journal of Preventive Medicine, vol. 36, no. 1, pp. 74–81, 2009.
135)P. A. Estabrooks, R. E. Lee, and N. C. Gyurcsik, “Resources for physical activity participation: does availability and accessibility differ by neighborhood socioeconomic status?” Annals of Behavioral Medicine, vol. 25, no. 2, pp. 100–104, 2003.
136)D. Crawford, A. Timperio, B. Giles-Corti et al., “Do features of public open spaces vary according to neighbourhood socio-economic status?” Health & Place, vol. 14, no. 4, pp. 889–893, 2008.
137)J. C. Lumeng, D. Appugliese, H. J. Cabral, R. H. Bradley, and B. Zuckerman, “Neighborhood safety and overweight status in children,” Archives of Pediatrics and Adolescent Medicine, vol. 160, no. 1, pp. 25–31, 2006
138)K. M. Neckerman, G. S. Lovasi, S. Davies et al., “Disparities in urban neighborhood conditions: evidence from GIS measures and field observation in New York city,” Journal of Public Health Policy, vol. 30, supplement 1, pp. S264–S285, 2009.
139)J. W. Anderson, E. C. Konz, R. C. Frederich, and C. L. Wood, “Long-term weight-loss maintenance: a meta-analysis of US studies,” The American Journal of Clinical Nutrition, vol. 74, no. 5, pp. 579–584, 2001.
140)K. D. Brownell and J. Rodin, “Medical, metabolic, and psychological effects of weight cycling,” Archives of Internal Medicine, vol. 154, no. 12, pp. 1325–1330, 1994
141)A. E. Field, J. E. Manson, C. B. Taylor, W. C. Willett, and G. A. Colditz, “Association of weight change, weight control practices, and weight cycling among women in the Nurses’ Health Study II,” International Journal of Obesity, vol. 28, no. 9, pp. 1134–1142, 2004.
142) R. L. Leibel, M. Rosenbaum, and J. Hirsch, “Changes in energy expenditure resulting from altered body weight,” The New England Journal of Medicine, vol. 332, no. 10, pp. 621–628, 1995.
143) E. A. Olson, A. J. Visek, K. A. McDonnell, and L. DiPietro, “Thinness expectations and weight cycling in a sample of middle-aged adults,” Eating Behaviors, vol. 13, no. 2, pp. 142–145, 2012.
144) R. L. Osborn, K. L. Forys, T. L. Psota, and T. Sbrocco, “Yo-yo dieting in African American women: weight cycling and health,” Ethnicity and Disease, vol. 21, no. 3, pp. 274–280, 2011.
145) J. E. Mitchell, M. J. Devlin, M. de Zwann et al., Binge-Eating Disorder: Clinical Foundations and Treatment, Guilford Press, New York, NY, USA, 2008.
146) J. Polivy and C. P. Herman, “Dieting and Binging. A Causal Analysis,” American Psychologist, vol. 40, no. 2, pp. 193–201, 1985.
147) E. Stice, “Risk and maintenance factors for eating pathology: a meta-analytic review,” Psychological Bulletin, vol. 128, no. 5, pp. 825–848, 2002.
148) M. R. Lowe, W. Davis, D. Lucks, R. Annunziato, and M. Butryn, “Weight suppression predicts weight gain during inpatient treatment of bulimia nervosa,” Physiology and Behavior, vol. 87, no. 3, pp. 487–492, 2006.
149) C. G. Fairburn, Cognitive Behavior Therapy and Eating Disorders, Guilford Press, New York, NY, USA, 2008.
150) M. L. Butryn, A. Juarascio, and M. R. Lowe, “The relation of weight suppression and BMI to bulimic symptoms,” International Journal of Eating Disorders, vol. 44, no. 7, pp. 612–617, 2011
151) D. B. Herzog, J. G. Thomas, A. E. Kass, K. T. Eddy, D. L. Franko, and M. R. Lowe, “Weight suppression predicts weight change over 5 years in bulimia nervosa,” Psychiatry Research, vol. 177, no. 3, pp. 330–334, 2010.
152) R. M. Calogero, S. Herbozo, and J. K. Thompson, “Complimentary weightism: the potential costs of appearance-related commentary for women’s self-objectification,” Psychology of Women Quarterly, vol. 33, no. 1, pp. 120–132, 2009.
153) J. C. Lumeng, P. Forrest, D. P. Appugliese, N. Kaciroti, R. F. Corwyn, and R. H. Bradley, “Weight status as a predictor of being bullied in third through sixth grades,” Pediatrics, vol. 125, no. 6, pp. e1301–e1307, 2010.
154) R. M. Puhl and J. D. Latner, “Stigma, obesity, and the health of the nation’s children,” Psychological Bulletin, vol. 133, no. 4, pp. 557–580, 2007.
155)M. E. Eisenberg, D. Neumark-Sztainer, and M. Story, “Associations of weight-based teasing and emotional well-being among adolescents,” Archives of Pediatrics and Adolescent Medicine, vol. 157, no. 8, pp. 733–738, 2003.
156)D. Neumark-Sztainer, M. Story, and T. Harris, “Beliefs and attitudes about obesity among teachers and school health care providers working with adolescents,” Journal of Nutrition Education and Behavior, vol. 31, no. 1, pp. 3–9, 1999.
157)K. W. Bauer, Y. W. Yang, and S. B. Austin, ““How can we stay healthy when you’re throwing all of this in front of us?” Findings from focus groups and interviews in middle schools on environmental influences on nutrition and physical activity,” Health Education and Behavior, vol. 31, no. 1, pp. 34–46, 2004.
158) J. H. Price, S. M. Desmond, R. A. Krol, F. F. Snyder, and J. K. O’Connell, “Family practice physicians’ beliefs, attitudes, and practices regarding obesity,” The American Journal of Preventive Medicine, vol. 3, no. 6, pp. 339–345, 1987.
159) J. Kaminsky and D. Gadaleta, “A study of discrimination within the medical community as viewed by obese patients,” Obesity Surgery, vol. 12, no. 1, pp. 14–18, 2002.
160)J. L. Kristeller and R. A. Hoerr, “Physician attitudes toward managing obesity: differences among six specialty groups,” Preventive Medicine, vol. 26, no. 4, pp. 542–549, 1997.
161) G. D. Foster, T. A. Wadden, A. P. Makris et al., “Primary care physicians’ attitudes about obesity and its treatment,” Obesity Research, vol. 11, no. 10, pp. 1168–1177, 2003.
162) L. Mansfield and E. Rich, “Public health pedagogy, border crossings and physical activity at every size,” Critical Public Health, vol. 23, no. 3, pp. 356–370, 2013.
163) S. L. Syme, “The prevention of disease and promotion of health: the need for a new approach,” European Journal of Public Health, vol. 17, no. 4, pp. 329–330, 2007.
164) C. W. Rudolph, C. L. Wells, M. D. Weller, and B. B. Baltes, “A meta-analysis of empirical studies of weight-based bias in the workplace,” Journal of Vocational Behavior, vol. 74, no. 1, pp. 1–10, 2009.
165) K. E. Giel, S. Zipfel, M. Alizadeh et al., “Stigmatization of obese individuals by human resource professionals: an experimental study,” BMC Public Health, vol. 12, no. 1, article 525, 2012.
166)K. K. Davison and L. L. Birch, “Predictors of fat stereotypes among 9-year-old girls and their parents,” Obesity Research, vol. 12, no. 1, pp. 86–94, 2004.
167) R. M. Puhl, C. A. Moss-Racusin, M. B. Schwartz, and K. D. Brownell, “Weight stigmatization and bias reduction: perspectives of overweight and obese adults,” Health Education Research, vol. 23, no. 2, pp. 347–358, 2008.
168)G. McGee, “Fat chance getting an obstetrician in South Florida? Ethics and discrimination in obstetrics and gynecology,” The American Journal of Bioethics, vol. 11, no. 6, pp. 1–2, 2011.
169)R. M. Puhl and K. D. Brownell, “Confronting and coping with weight stigma: an investigation of overweight and obese adults,” Obesity, vol. 14, no. 10, pp. 1802–1815, 2006.
170) K. Davis-Coelho, J. Waltz, and B. Davis-Coelho, “Awareness and prevention of bias against fat clients in psychotherapy,” Professional Psychology: Research and Practice, vol. 31, no. 6, pp. 682–684, 2000.
171) National Association to Advance Fat Acceptance, Guidelines for Healthcare Providers Who Treat fat Patients, 2012, http://issuu.com/naafa/docs/naafa_healthcarep_guidelines_2011_v06_screencut.
172) M. B. Schwartz, H. O’Neal, K. D. Brownell, S. N. Blair, and C. Billington, “Weight bias among health professionals specializing in obesity,” Obesity Research, vol. 11, no. 9, pp. 1033–1039, 2003.
173) R. M. Puhl, J. D. Latner, K. M. King, and J. Luedicke, “Weight bias among professionals treating eating disorders: attitudes about treatment and perceived patient outcomes,” International Journal of Eating Disorders, vol. 47, no. 1, pp. 65–75, 2014.
174) M. B. Schwartz, L. R. Vartanian, B. A. Nosek, and K. D. Brownell, “The influence of one’s own body weight on implicit and explicit anti-fat bias,” Obesity, vol. 14, no. 3, pp. 440–447, 2006.
175)M. H. Schafer and K. F. Ferraro, “The stigma of obesity: does perceived weight discrimination affect identity and physical health?” Social Psychology Quarterly, vol. 74, no. 1, pp. 76–97, 2011.
176)L. E. Durso, J. D. Latner, M. A. White et al., “Internalized weight bias in obese patients with binge eating disorder: associations with eating disturbances and psychological functioning,” International Journal of Eating Disorders, vol. 45, no. 3, pp. 423–427, 2012.
177)R. A. Carels, J. Burmeister, M. W. Oehlhof et al., “Internalized weight bias: ratings of the self, normal weight, and obese individuals and psychological maladjustment,” Journal of Behavioral Medicine, vol. 36, no. 1, pp. 86–94, 2013.
178)L. E. Durso and J. D. Latner, “Understanding self-directed stigma: development of the weight bias internalization scale,” Obesity, vol. 16, no. 2, pp. S80–S86, 2008.
179) P. Muennig, “The body politic: the relationship between stigma and obesity-associated disease,” BMC Public Health, vol. 8, article 128, pp. 128–138, 2008.
180)N. A. Schvey, R. M. Puhl, and K. D. Brownell, “The impact of weight stigma on caloric consumption,” Obesity, vol. 19, no. 10, pp. 1957–1962, 2011.
181)A. R. Sutin and A. Terracciano, “Perceived weight discrimination and obesity,” PLoS ONE, vol. 8, no. 7, Article ID e70048, 2013.
182) Grodstein, F., Levine, R., Spencer, T., Colditz, G. A., &Stampfer, M. J. (1996). Three-year follow-up of participants in a commercial weight loss program: Can you keep it off? Archives of Internal Medicine 156(12), 1302.
183) Neumark-Sztainer D., Haines, J., Wall, M., & Eisenberg, M. ( 2007). Why does dieting predict weight gain in adolescents? Findings from project EAT-II: a 5-year longitudinal study. Journal of the American Dietetic Associatio, 107(3), 448-55
184) Loveman E, Frampton GK, Shepherd J, et al. The clinical effectiveness and cost-effectiveness of long-term weight management schemes for adults: a systematic review. Health technology assessment (Winchester, England) 2011;15(2):1–182.
185)Wu T, Gao X, Chen M, van Dam RM. Long-term effectiveness of diet-plus-exercise interventions vs. diet-only interventions for weight loss: a meta-analysis. Obes Rev. 2009;10(3):313–323.
186) Rosenbaum M, Hirsch J, Gallagher DA, Leibel RL. Long-term persistence of adaptive thermogenesis in subjects who have maintained a reduced body weight. Am J Clin Nutr. 2008;88(4):906–912.
187) Greenway FL. Physiological adaptations to weight loss and factors favouring weight regain. Int J Obes (Lond) 2015;39(8):1188–1196
188)Ochner CN, Tsai AG, Kushner RF, Wadden TA. Treating obesity seriously: when recommendations for lifestyle change confront biological adaptations. Lancet Diabetes Endocrinol. 2015;3(4):232–234.
189)Polidori D, Sanghvi A, Seeley RJ, Hall KD. How Strongly Does Appetite Counter Weight Loss? Quantification of the Feedback Control of Human Energy Intake. Obesity (Silver Spring) 2016;24(11):2289–2295
190)P. Sumithran, L. A. Prendergast, E. Delbridge et al., “Long-term persistence of hormonal adaptations to weight loss,” The New England Journal of Medicine, vol. 365, no. 17, pp. 1597–1604, 2011.
191) Franz MJ, VanWormer JJ, Crain AL, et al. Weight-loss outcomes: a systematic review and meta-analysis of weight-loss clinical trials with a minimum 1-year follow-up
192)Ochner CN, Barrios DM, Lee CD, Pi-Sunyer FX. Biological mechanisms that promote weight regain following weight loss in obese humans.
193) Fothergill E, Guo J, Howard L, et al. Persistent metabolic adaptation 6 years after “The Biggest Loser” competition. Obesity (Silver Spring) 2016; published online May 2. DOI:10.1002/oby.21538.
194) Fildes A, Charlton J, Rudisill C, Littlejohns P, Prevost AT, Gulliford MC. Probability of an Obese Person Attaining Normal Body Weight: Cohort Study Using Electronic Health Records. Am J Public Health. 2015 Sep;105(9):e54-9. doi: 10.2105/AJPH.2015.302773. Epub 2015 Jul 16. PMID: 26180980; PMCID: PMC4539812.
195) Drenowatz C, Jakicic JM, Blair SN, Hand GA. Differences in correlates of energy balance in normal weight, overweight and obese adults. Obes Res Clin Pract. 2015 Nov-Dec;9(6):592-602. doi: 10.1016/j.orcp.2015.03.007. Epub 2015 Apr 8. PMID: 25863984.
196) Klein, S., Fontana, L., Young, V. L., Coggan, A. R., Kilo, C., Patterson, B. W., & Mohammed, B. S. (2004). Absence of an effect of liposuction on insulin action and risk factors for coronary heart disease. New England Journal of Medicine, 350(25), 2549–2557.
197)Hunger, Jeffrey & Smith, Joslyn & Tomiyama, A. Janet. (2020). An Evidence‐Based Rationale for Adopting Weight‐Inclusive Health Policy. Social Issues and Policy Review. 14. 73-107. 10.1111/sipr.12062.
198) Adler, N. E., Stewart, J., Cohen, S., Cullen, M., Diez Roux, A., Dow, W., . . . Williams, D. (2009). Reaching for a healthier life: Facts on socioeconomic status and health in the U.S. San Francisco, CA: MacArthur Foundation Research Network on Socioeconomic Status and Health.
199) Tomiyama, A. J. (2019). Stress and obesity. Annual Review of Psychology, 70, 703–718.
200) Flegal, K. M., Kit, B. K., Orpana, H., & Graubard, B. I. (2013). Association of all-cause mortality with overweight and obesity using standard body mass index categories: A systematic review and meta-analysis. JAMA, 309, 71–82.
201)Chang, V. W., Asch, D. A., & Werner, R. M. (2010). Quality of care among obese patients, JAMA,
303(13), 1274–1281.
202) Schenkeveld, L., Magro, M., Oemrawsingh, R. M., Lenzen, M., de Jaegere, P., van Geuns, R. J., . . . & van Domburg, R. T. (2012). The influence of optimal medical treatment on the “obesity paradox”, body mass index and long-term mortality in patients treated with percutaneous coronary intervention: A prospective cohort study. BMJ Open, 2(1), e000535.
203) Steinberg, B. A., Cannon, C. P., Hernandez, A. F., Pan, W., Peterson, E. D., Fonarow, G. C., & Committee, G. S. A. (2007). Medical therapies and invasive treatments for coronary artery disease by body mass: The “obesity paradox” in the Get With The Guidelines database. The American Journal of Cardiology, 100(9), 1331–1335.
204) Adams, C. H., Smith, N. J., Wilbur, D. C., & Grady, K. E. (1993). The relationship of obesity to the frequency of pelvic examinations: Do physician and patient attitudes make a difference? Women and Health, 20, 45–57. https://doi.org/10.1300/J013v20n02_04
205) Ferrante, J. M., Ohman-Strickland, P., Hudson, S. V., Hahn, K. A., Scott, J. G., & Crabtree, B. F. (2006). Colorectal cancer screening among obese versus non-obese patients in primary care practices. Cancer Detection and Prevention, 30, 459–465. https://doi.org/10.1016/j.cdp.2006.09.003
206) Wee, C. W., McCarthy, E. P., Davis, R. B., & Phillips, R. S. (2000). Screening for cervical and breast cancer: Is obesity an unrecognized barrier to preventive care? Annals of Internal Medicine, 132, 697–704. https://doi.org/10.7326/0003-4819-132-9-200005020-00003
207) Phelan, S. M., Burgess, D. J., Yeazel, M. W., Hellerstedt, W. L., Griffin, J. M., & van Ryn, M. (2015). Impact of weight bias and stigma on quality of care and outcomes for patients with obesity. Obesity Reviews, 16(4), 319–326. http://doi.org/10.1111/obr.12266
208) Mohamed-Ali, V., Goodrick, S., Bulmer, K., Holly, J. M., Yudkin, J. S., & Coppack, S. W. (1999). Production of soluble tumor necrosis factor receptors by human subcutaneous adipose tissue in vivo. American Journal of Physiology—Endocrinology and Metabolism, 277(6), E971–E975.
209) Tomiyama, A. J., Hunger, J. M., Nguyen-Cuu, J., & Wells, C. (2016). Misclassification of cardiometabolic health when using body mass index categories in NHANES 2005–2012. Interna-tional Journal of Obesity, 40, 883.
210) Bravata, D. M., Sanders, L., Huang, J., Krumholz, H. M., Olkin, I., Gardner, C. D., & Bravata, D. M. (2003). Efficacy and safety of low-carbohydrate diets: A systematic review. JAMA, 289(14), 1837–1850.
211)Tomiyama, A. J., Ahlstrom, B., & Mann, T. (2013). Long-term effects of dieting: Is weight loss related
to health? Social and Personality Psychology Compass, 7(12), 861–877.
212)Farooqi, I. S., & O’Rahilly, S. (2006). Genetics of obesity in humans. Endocrine Reviews, 27, 710–718. https://doi.org/10.1210/er.2006-0040
213) Bégin C, Carbonneau E, Gagnon-Girouard MP, Mongeau L, Paquette MC, Turcotte M, Provencher V. Eating-Related and Psychological Outcomes of Health at Every Size Intervention in Health and Social Services Centers Across the Province of Québec. Am J Health Promot. 2019 Feb;33(2):248-258. doi: 10.1177/0890117118786326. Epub 2018 Jul 9. PMID: 29986603.
214) P. Muennig, “The body politic: the relationship between stigma and obesity-associated disease,” BMC Public Health, vol. 8, article 128, pp. 128–138, 2008.
215) J. D. Seacat and K. D. Mickelson, “Stereotype threat and the exercise/ dietary health intentions of overweight women,” Journal of Health Psychology, vol. 14, no. 4, pp. 556–567, 2009.
216) K. A. Matthews, K. Salomon, K. Kenyon, and F. Zhou, “Unfair treatment, discrimination, and ambulatory blood pressure in black and white adolescents,” Health Psychology, vol. 24, no. 3, pp. 258–265, 2005.
217) L. Almeida, S. Savoy, and P. Boxer, “The role of weight stigmatization in cumulative risk for binge eating,” Journal of Clinical Psychology, vol. 67, no. 3, pp. 278–292, 2011
218) J. K. Thompson, M. D. Coovert, K. J. Richards, S. Johnson, and J. Cattarin, “Development of body image, eating disturbance, and general psychological functioning in female adolescents: covariance structure modeling and longitudinal investigations,” International Journal of Eating Disorders, vol. 18, no. 3, pp. 221–236, 1995.
219) L. R. Vartanian and S. A. Novak, “Internalized societal attitudes moderate the impact of weight stigma on avoidance of exercise,” Obesity, vol. 19, no. 4, pp. 757–762, 2011.
220) J. A. Ashmore, K. E. Friedman, S. K. Reichmann, and G. J. Musante, “Weight-based stigmatization, psychological distress, & binge eating behavior among obese treatment-seeking adults,” Eating Behaviors, vol. 9, no. 2, pp. 203–209, 2008.
221) J. Haines, D. Neumark-Sztainer, M. E. Eisenberg, and P. J. Hannan, “Weight teasing and disordered eating behaviors in adolescents: longitudinal findings from project EAT (Eating Among Teens),” Pediatrics, vol. 117, no. 2, pp. e209–e215, 2006.
222) D. Neumark-Sztainer, N. Falkner, M. Story, C. Perry, P. J. Hannan, and S. Mulert, “Weight-teasing among adolescents: correlations with weight status and disordered eating behaviors,” International Journal of Obesity, vol. 26, no. 1, pp. 123–131, 2002.
223) K. E. Friedman, S. K. Reichmann, P. R. Costanzo, A. Zelli, J. A. Ashmore, and G. J. Musante, “Weight stigmatization and ideological. Beliefs: relation to psychological functioning in obese adults,” Obesity Research, vol. 13, no. 5, pp. 907–916, 2005.
224) J. A. Cattarin and J. K. Thompson, “A three-year longitudinal study of body image, eating disturbance, and general psychological functioning in adolescent females,” Eating Disorders, vol. 2, no. 2, pp. 114–125, 1994.
225) C. M. Grilo, D. E. Wilfley, K. D. Brownell, and J. Rodin, “Teasing, body image, and self-esteem in a clinical sample of obese women,” Addictive Behaviors, vol. 19, no. 4, pp. 443–450, 1994.
226) J. Crocker, B. Cornwell, and B. Major, “The stigma of overweight: affective consequences of attributional ambiguity,” Journal of Personality and Social Psychology, vol. 64, no. 1, pp. 60–70, 1993.
227) A. Myers and J. C. Rosen, “Obesity stigmatization and coping: relation to mental health symptoms, body image, and self-esteem,” International Journal of Obesity, vol. 23, no. 3, pp. 221–230, 1999.
228) D. Neumark-Sztainer, M. Story, and L. Faibisch, “Perceived stigmatization among overweight African-American and Caucasian adolescent girls,” Journal of Adolescent Health, vol. 23, no. 5, pp. 264–270, 1998.
229) M. Marmot, “Social determinants of health inequalities,” The Lancet, vol. 365, no. 9464, pp. 1099–1104, 2005.

Close Menu

Diana Severgnini

T: +39 347 325 8691
dietista.dianasevergnini@gmail.com