INTRODUZIONE
L’esperimento di Clara Davis del 1939 (1) ha coinvolto circa 15 bambinə che all’inizio dello studio avevano età compresa tra 6-11 mesi e che sono statə seguitə per 6 anni.
L’età è un primo fattore rilevante: lə bambinə erano all’inizio dell’alimentazione complementare e quindi non avevano ricevuto alcun tipo di condizionamenti -comportamenti, nozioni, informazioni- o precedenti alimentari…ovvero, senza alcuna interferenza della “cultura della dieta”. Tabula rasa.
Lo studio consisteva nel far loro consumare tutti i pasti (3-4 al giorno) in una sede dove potevano scegliere liberamente -senza condizionamenti, doveri o limiti qualitativi o quantitativi – in un’ampia varietà di cibi*: questi sono in definitiva i principi dell’autosvezzamento che conosciamo oggi.
Ciò che consumavano veniva registrato e calcolato in termini di apporto energetico e nutrizionale (sono stati calcolati circa 36.000 pasti, valutando il rapporto fra alimenti vegetali e animali, calorie, percentuali di proteine, grassi e zuccheri e, seppure in modo indiretto, l’adeguatezza dell’apporto di vitamine e minerali.)
COSA SI È OSSERVATO?
1) gli apporti energetici e nutrizionali stimati nel lungo periodo erano in linea con i fabbisogni e con i cambiamenti che essi subivano nel tempo (ad esempio in relazione a diversi scatti di crescita) e la crescita dei bambini è stata ottimale. È interessante notare che -se osservata nel breve periodo- l’alimentazione dei singoli fosse di fatto molto eterogenea di individuo in individuo e lontana da ciò che viene normalmente considerato un pattern alimentare “ortodosso” suggerito dalle linee guida del tempo: ovvero, gli equilibri alimentari nel breve periodo potevano risultare molto squilibrati, ma osservati nel lungo periodo erano molto vicini ai fabbisogni di riferimento.
Questo ci offre una prima riflessione importante: la precisione alle volte ossessiva con cui oggi si cerca di rispettare giornalmente un’ideale distribuzione di alimenti e nutrienti perfettamente ancorata a delle linee guida asettiche è pressoché inutile se non controproducente dal punto di vista di rapporto con il cibo.
I nostri fabbisogni possono essere soddisfatti con buona flessibilità sul medio-lungo termine senza che ciò comprometta le nostre funzioni fisiologiche e soprattutto possono essere realizzati in vie e “pattern alimentari” molto diversi di persona in persona.
2) L’appetito cambiava molto individualmente, nel tempo e a seconda di alcune circostanze, ma in modo sempre fedele ai fabbisogni
Alcuni esempi:
– 24-48h prima di un’epidemia infettiva che ha colpito tutti i bambini studiati si è osservato un decremento delle ingesta alimentari (probabilmente perché il corpo “risparmia” energie nella digestione veicolandole tutte nell’attività immunitaria) che si è normalizzato solo dopo 24 ore di media dalla convalescenza: dopo questo stato acuto febbrile si è inoltre osservato un consumo superiore al solito di carne cruda, carote e barbabietole (forse per aumentato fabbisogno di ferro, infatti la massima assunzione di barbabietole media era stata tra 6-12 mesi quando il fabbisogno minerale è massimo, e poi mai più come prima a parte questo episodio).
– un bambino rachitico ha assunto spontaneamente -ma in modo non costante- olio di merluzzo solo finché -secondo quanto osservato clinicamente attraverso radiografie- il suo stato minerale osseo non si era normalizzato, allora non ha più assunto quell’integratore naturale di vitamina D utile proprio alla salute ossea.
– se pur per alcuni periodi alcuni bambini non hanno assunto in alcun modo latte e derivati, la loro salute ossea osservata è sempre stata comunque buona
– lo studio parla di alcuni “pasti orrore” come ad esempio di una colazione a base di succo d’arancia e fegato, abbinamenti che vanno oltre qualsiasi aspettativa di appetito possiamo avere oggi.
Queste osservazioni sono particolarmente preziose se pensiamo a quanto molti genitori e caregiver si preoccupino della selettività alimentare o degli inspiegabili cambiamenti di gusto dei loro bambini, che da un giorno all’altro possono smettere completamente di mangiare un cibo che fino al giorno prima sembravano apprezzare.
Possiamo rassicurarci del fatto che -come detto sopra- gli equilibri si giocano su lungo periodo e che l’appetito dei bambini è molto più naturalmente esperto di questi equilibri e un efficace strumento autoregolatorio di quanto non lo sia da solo uno sguardo razionale o qualsiasi altro riferimento esterno.
3) Sembrerebbe quindi che l’appetito sia un segnale istintivo regolatorio innato.
Ma non è propriamente così.
Nell’esperimento si è osservato che ai primi pasti le scelte alimentari sembravano tutt’altro che istintive, quanto più totalmente casuali: i bambini provavano a mettersi in bocca di tutto, saltando da un cibo all’altro, ma anche il cucchiaio, pezzi di carta, pezzi di piatti, il bordo del tavolo…
A questi “assaggi” seguivano espressioni facciali di sorpresa, quindi di piacere o indifferenza o disgusto.
E sembra che proprio queste “risposte” siano ciò che -un po’ per volta- ha permesso di apprendere quali cibi fossero “buoni” o “cattivi” in quel momento.
Infatti in nessun altro periodo come nei primi giorni di esperimento sono stati assaggiati così tanti alimenti: dopo pochi giorni ciascun bambino iniziava a preferire o ignorare -in modo soggettivo- determinati alimenti per un certo periodo.
Insomma, i pattern alimentari si sviluppavano sulla base di una certa esperienza sensoriale, ovvero sulla base di sensazioni visive, olfattive, gustative e soprattutto sulla base di una certa sensazione di comfort e benessere successiva all’atto del mangiare. Ciò ci porta a una riflessione importante: il nostro comportamento alimentare intuitivo non è innato e istintivo, non è nemmeno inducibile, ma è deduttivo, ovvero si sviluppa sulla base di molteplici prove esperienziali e sull’osservazione della loro riuscita in termini di funzionalità. Nulla di tutto questo è indotto, è dedotto sulla base di esperienze…e molti errori!
Le espressioni facciali dei bambini associate all’assaggio di determinati alimenti per la prima volta sono una prova del valore evolutivo di questo meccanismo: esprimendo piacere, disgusto o neutralità si comunica ai pari un semaforo verde, rosso, giallo rispetto all’alimento consumato… Anticamente questo permetteva di preservare il gruppo sociale da possibili infezioni o addirittura morte associati al consumo di cibi avariati o velenosi.
Cosa ci porta a concludere questo?
Che le sensazioni che provengono dall’esperienza del mangiare sono strumenti fondamentali non solo nella selezione di cibi “buoni”, ma anche nella regolazione dell’esperienza in sé. Attraverso i segnali di piacere, sazietà, pienezza, energizzazione e più generalmente “benessere” selezioniamo istintivamente cosa e quanto mangiare: il desiderio non è insomma un vizio come siamo spinti a pensarlo dalla cultura della dieta, quanto un indicatore preciso. È una considerazione preziosissima: quanto oggi le scelte alimentari vengono invece indotte dall’esterno (linee guida, regole, diete, schemi…) sulla base di principi astratti più che non sulla connessione consapevole di ciò che si sente farci bene.
Proprio questo è ciò che il metodo dell’alimentazione intuitiva vorrebbe reinsegnarci a fare, guidandoci e aiutandoci a riconnetterci alla fame, all’appetito, alla sazietà, ai bisogni emotivi ma anche ai bisogni corporei, imparando a conoscere e capire ciò che ci fa bene e risponde in modo variabile -di situazione in situazione e di momento in momento- al/ai bisogno/i prioritario/i: tornare a scegliere ciò che ci fa sentire bene, a 360°, questo è e dovrebbe essere il principio guida dell’alimentazione.
AUTOSVEZZAMENTO: UN PARALLELISMO CON QUANTO ALLE VOLTE ACCADE IN UN PERCORSO DI (RI)ALIMENTAZIONE INTUITIVA
Leggere del modo in cui i bambini facevano le prime esperienze alimentari assaggiando di tutto e di più mi ha fatto venire in mente quello che spesso succede a una persona che si “smette a dieta”, che mette da parte le regole alimentari: per un po’ regna il caos e la disregolazione alimentare.
Finché…
o torna a rimettersi “in regola” seguendo principi indotti (non dedotti!), convinta che senza regole non si sappia regolare…finché le regole non tornano a stare strette, si rompono le regole…e il circolo restrizione-compensazione della Dieta si ripete a yo-yo.
O si dà il permesso incondizionato di mangiare restando in ascolto e fidandosi dei propri segnali, finché prima o poi -dopo una fase di riallenamento e risintonizzazione, si ritrova un’autoregolazione. Questo accade in un approccio di (ri)alimentazione intuitiva che a questo punto non è altro che un “secondo autosvezzamento” in cui dobbiamo reimparare a conoscere e fidarci dei cibi.
LA CONCLUSIONE PRINCIPALE
Questo esperimento ci conferma che gli esseri umani -sin da bambini- sono perfettamente in grado di calibrare autonomamente l’assunzione di cibo in relazione ai loro bisogni: lo studio di Davis pone insomma le basi sia dell’approccio che oggi chiamiamo “autosvezzamento” o “alimentazione complementare a richiesta”, sia dell’Alimentazione Intuitiva.
La difficoltà autoregolatoria -con problemi annessi- si manifesta anzi quando subentrano condizionamenti e pressioni esterne che oggi chiamiamo “cultura della dieta”, ovvero quell’insieme di informazioni, miti, detti , principi, regole, indicazioni che derivano dalla scienza della nutrizione e si credono più autoritari ed efficaci dei segnali interni personali nel definire ciò che è sano, giusto e di benessere, in stretta relazione con l’obiettivo del controllo del peso e del dimagrimento🧾
Si è visto infatti come un regime alimentare restrittivo, imposto al bambino dai genitori, lo renda più suscettibile allo sviluppo di comportamenti alimentari incontrollati negli anni successivi.(7)
In uno studio su 551 studenti dai 7 ai 16 anni, nelle ragazze è stata dimostrata una proporzionalità diretta tra numero di diete seguite e comportamenti di vomito provocato (Westenhofer, Int J Eat Disord, 2001)
Adolescenti di 15 anni che fanno una dieta in risposta ad un disagio psicologico hanno un rischio 15 volte maggiore di sviluppare un DCA a 18 anni rispetto a chi ha seguito una dieta perché in sovrappeso (Isoma et al. Eur.Eat Disorder Rev, 2010)
Confrontando una popolazione di 80 donne con bulimia nervosa e 60 con binge-eating-disorder confrontata con 60 donne sane di pari età e livello socio-economico, il 56,6% con bulimia e il 72% con binge avevano effettuato più di 3 diete prima dello sviluppo del disturbo, contro il 15,4% dei controlli sani (Ballardini et al., Obesity, 1999).
CONSIDERAZIONI SULL’ESPERIMENTO
4) rispetto al peso dei partecipanti, il poco che viene detto lascia a intendere cose potenzialmente fuorvianti.
Dall’articolo sappiamo solo che alcunə bambinə a inizio studio erano rachiticə o sottopeso e nel corso del tempo hanno essenzialmente tutti e 15 raggiunto gli “standard di crescita”, “né agli estremi della magrezza né della grassezza” e con “fisici simili tra loro come se fossero membri di una stessa famiglia”.
Queste informazioni possono lasciare a intendere alla libera interpretazione l’idea che “mangiando allo stesso modo” (per quanto facendo scelte diverse sia qualitative che quantitative ma scegliendo dallo stesso menù “selezionato” altamente qualitativo e nutriente) ci si avvicini tutti allo stesso fisico “ideale”.
Sappiamo in realtà non essere così, in quanto il peso e l’aspetto dipendono da molteplici fattori (genetica, patologie, fattori biologici -es adattamento metabolico alla restrizione alimentare-, sonno, esercizio fisico, alimentazione, stress…) che però nello studio non vengono stratificati, specificati in alcun modo.
Potrebbe semplicemente essere (queste sono mie ipotesi) che i soggetti partecipanti nello studio provenissero da famiglie di simile estrazione sociale e avessero stili di vita simili (negli anni ‘40 possiamo ipotizzare che lə bambinə dello stesso ceto sociale avessero vite molto in movimento e con un buon tempo dedicato al riposo) e -rachitismo a parte- fossero generalmente in salute.
È una specifica importante perché cadremmo in errore se pensassimo che un buon autosvezzamento o una buona alimentazione intuitiva -ovvero alimentazione autogestita sulla base dei segnali interni- sia tale solo entro certi range di peso, perché appunto la salute non dipende dal peso e il peso non dipende solo dall’alimentazione.
Se restiamo in una cornice di approccio focalizzato sul peso (come lo è quella della sanità “tradizionale”), in cui se il peso della persona è superiore -per cause spesso in primis naturali fisiologiche (genetica, fattori biologici), altre volte anche non fisiologiche ma non del tutto controllabili- rispetto a quanto considerato “ideale”, le si impone un controllo di esso attraverso un controllo dell’alimentazione….non esiste realmente autosvezzamento e alimentazione intuitiva e non stiamo realmente inseguendo il benessere della persona, ma un concetto di “peso forma” tutt’altro che reale.
I corpi esistono e possono essere in salute in ogni spettro del peso, delle taglie e delle forme corporee! (2)
5) un fattore senz’altro rilevante nei risultati osservati è la selezione dei cibi proposta ai bambini. Il menù essenzialmente comprendeva solo cibi preparati nel modo più semplice possibile (cotti o crudi), isolatamente (senza combinare più ingredienti insieme, ogni alimento veniva servito in un piatto da solo senza mix di sapori), non salati (il sale era servito a parte in una ciotolina da cui i bambini “pescavano”), non conditi, non processati.
Il menù comprendeva un’ampia varietà di verdure, frutta, cereali integrali e non, latte, carne e frattaglie, uova, pesce, piselli che -a ben vedere- si discosta dall’attuale “modello” di dieta mediterranea che vorrebbe una maggiore presenza di legumi rispetto alla carne e di frutta secca/semi oleosi e olio d’oliva come fonte di grassi essenziali (che non è citata nella lista dell’esperimento)…ma resta comunque un’alimentazione estremamente nutriente e essenziale, in cui non c’è spazio alcuno per molti dei cibi elaborati, processati, iperconditi di cui disponiamo oggi (e che negli anni ‘40 nemmeno c’erano!). Lo studio infatti aveva il proposito di testare anche l’introduzione di questi alimenti, ma per contingenze storiche non vi è stato modo.
L’articolo suggerisce l’ipotesi che questi alimenti -uniti alle pressioni al mangiare in relazione ad altri determinanti quali costo, praticità, piacere, cultura- siano in grado di “alterare” il meccanismo regolatorio basato sull’appetito.
Non ne sono d’accordo: l’introduzione di questi cibi fa sì certo che il mangiare non sia più mero soddisfacimento di bisogni nutrizionali e sicuramente questo può cambiare gli equilibri che si creano nell’alimentazione rispetto a quando si mangia per mero nutrimento…ma
✤ l’appetito agisce comunque anche con quegli alimenti (che non sono “alieni” o “virus” che il nostro organismo non riconosce e che alterano la nostra fisiologia interna): sono cibi (sì, diversi) che rispondono agli stessi segnali autoregolatori dei “cibi nutrienti”. Se restiamo in osservazione degli effetti sia positivi che negativi ( fisici, di piacere, umorali, sociali etc) che hanno su di noi possiamo usare queste informazioni oggettive per renderne il consumo consapevolmente funzionale al nostro benessere
(che -promemoria- non è solo fisico, ma anche psico-sociale)
Può essere che introducendo un po’ più cibi “di piacere” la nostra alimentazione sia un po’ meno nutriente perché -ascoltando la sazietà- c’è un po’ meno spazio per cibi nutrienti?
Sì, ma nella maggior parte dei casi in cui comunque si ha sufficiente cura anche verso i bisogni nutrizionali del corpo questo non crea alcuno squilibrio significativo tale da creare situazioni patologiche. (3,4)
Può essere che sia un po’ più energetica e questo sposti il nostro adipe e peso un poco più in su (anche in base alla genetica individuale, a fattori biologici e altri fattori soggettivi)? Sì, ma questo non rappresenta necessariamente alcun problema per la nostra salute poiché il nostro peso non è il principale o solo determinante di essa. (5)
✤ questo può essere visto infatti come un arricchimento del potenziale di benessere e salutare del cibo – che non è più solo fisico, ma anche emotivo, psicologico, sociale, culturale- .
Se mettiamo da parte il terrorismo nutrizionale che ci attanaglia da qualche decennio e ci ricordiamo che la salute non è solo fisica…riusciamo a concepire come un ampliamento del bagaglio di scelte alimentari che includa anche cibi più elaborati ma che dia comunque sufficiente spazio a cibi nutrienti, e soprattutto in cui le scelte siano ancorate ai segnali e alle sensazioni corporee di benessere (e non a regole esterne!) e in cui quindi vi sia un rapporto sereno, flessibile, appagante con il cibo … sia un fattore che può contribuire enormemente al nostro benessere e alla nostra salute fisica, emotiva, psicologica, sociale.
È del resto inverosimile pensare di crescere bene, oggi, nel XXI secolo, dei bambini con le bende sugli occhi cercando di nascondere loro tutto il cibo meno nutriente, più elaborato, più sfizioso che esiste al mondo nell’idea che ciò sia la strada giusta per l’adeguatezza alimentare…: così facendo non solo rischieremmo di deteriorare significativamente il loro rapporto con il cibo (creando privazioni insostenibili a una bocca e una mente giovane affamata di esperienze rischiamo solo di indurre maggiormente conflitti e ipercompensazioni nell’alimentazione), ma di privarli anche di un’ampia gamma di esperienze di benessere che possono fare attraverso quei cibi, a partire dalla socializzazione con i pari.
Se vi risuona famigliare, è perché questo stesso approccio di fatto è portato avanti anche e soprattutto con gli adulti nella cultura della dieta, in cui si ricerca una presunta “adeguatezza alimentare” o un dimagrimento riducendo l’alimentazione a semplice nutrizione e/o addirittura restringendola sul profilo nutrizionale (restrizione di energia e nutrienti), limitando o tagliando fuori tutte le occasioni e i valori alimentari di piacere , di condivisione, di convivialità…
Di fatto questo approccio è insostenibile a lungo termine e porta a peggiorare significativamente il rapporto con il cibo, ma anche a quelle ipercompensazioni che oggi conosciamo bene (, che dopo un periodo di dieta, restrizioni, limitazioni, sacrifici inevitabilmente portano ad avere una pressione al consumo di cibo maggiorata che annulla qualsiasi sforzo. (6)
CONCLUSIONE
L’esperimento di Clara Davis è nato proprio dal dubbio che i bambini all’epoca mangiassero poco e male non per loro spontanea volontà, ma perché costretti a rispettare rigidamente le dosi che la scienza nutrizionale dell’epoca considerava adeguate per loro, impedendo la libera sperimentazione e, così, privandoli di una sorta di primitiva, istintiva capacità di aggiustare la dieta a seconda delle proprie individuali necessità.
Oggi siamo ancora qui, ma oggi abbiamo anche chiare tante strade alternative.
BIBLIOGRAFIA
(1) Davis CM. Results of the self-selection of diets by young children. Can Med Assoc J. 1939 Sep;41(3):257-61. PMID: 20321464; PMCID: PMC537465. (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC537465/pdf/canmedaj00208-0035.pdf)
(2) Bacon L: Health at Every Size: The Surprising Truth About Your Weight. Second edition. Dallas: BenBella Books; 2010.
(3) Bacon L, Stern J, Van Loan M, Keim N: Size acceptance and intuitive eating improve health for obese, female chronic dieters. J Am Diet Assoc 2005, 105:929-936.
(4) Babbott KM, Cavadino A, Brenton-Peters J, Consedine NS, Roberts M. Outcomes of intuitive eating interventions: a systematic review and meta-analysis. Eat Disord. 2023 Jan-Feb;31(1):33-63. doi: 10.1080/10640266.2022.2030124. Epub 2022 Apr 9. PMID: 35400300.)
(5) Bacon, L., Aphramor, L. Weight Science: Evaluating the Evidence for a Paradigm Shift. Nutr J 10, 9 (2011). https://doi.org/10.1186/1475-2891-10-9)
(6) Robinson E, Marty L, Higgs S, Jones A. Interoception, eating behaviour and body weight. Physiol Behav. 2021 Aug 1;237:113434. doi: 10.1016/j.physbeh.2021.113434. Epub 2021 Apr 24. PMID: 33901529.
(7) Rodgers R, Chabrol H. Parental attitudes, body image disturbance and disordered eating amongst adolescents and young adults: a review. Eur Eat Disord Rev. 2009 Mar;17(2):137-51. doi: 10.1002/erv.907. PMID: 19130467.
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Dietista Diana Severgnini