“Peso troppo!” “Qual è il mio peso ideale?” “ Quanto dovrei pesare?”
A queste domande non si può rispondere, perché non c’è una risposta prevedibile e il concetto di “peso ideale” e “dovrei pesare” e “peso troppo” sono stati messi in discussione dalla dietetica più recente.
Il BMI, il peso e il grasso corporeo non sono misura diretta della salute della persona, tantomeno del benessere socio-psico-fisico della persona. Eppure ancora oggi troppo spesso si utilizzano il BMI (calcolato con una formulina matematica che mette in rapporto peso/altezza), le percentuali di grasso stimate/derivate con strumenti e formuline e confrontate con tabelle statistiche-probabilistiche di popolazione per definire ciò che dovrebbe essere “giusto” per la singola persona, e la maggior parte delle persone è oggi ancora vittima del giudizio sul peso corporeo.
Perché è sbagliato? Capiamolo insieme, partendo dall’approfondire cosa ci sta dietro il BMI e il peso corporeo.
COME È NATO IL BMI ?
Il BMI (Body Mass Index) è stato ideato nel 1832 da Adolphe Quetelet, matematico e statistico belga, che l’ha utilizzato come parametro che descriveva le caratteristiche dell’uomo “medio” belga con un certo rapporto medio tra peso (kg) e altezza al quadrato (m2): il BMI nasce quindi come misura STATISTICA descrittiva di una specifica fascia di popolazione.
Negli anni ‘50, la Metropolitan Life, una compagnia di assicurazioni sulla vita statunitense, finanziò un enorme studio che indagava a posteriori la correlazione tra mortalità di un campione di persone assicurate e un parametro che sembrava in qualche modo correlato alla loro mortalità: il BMI. Definì quindi il tasso di mortalità per ogni valore di BMI: sulla base dei dati raccolti, pubblicò delle tabelle per uomini e donne con il “range di BMI ideale, desiderabile” a cui si associava un basso rischio di mortalità per determinare, in funzione di ciò, una scala di premi.
La medicina nutrizionale, che in quegli stessi anni iniziava la sua attività con Ancel Keys come principale esponente in questo ambito, prese i dati della Metropolitan Life per definire quei range di BMI che oggi conosciamo come “sottopeso” “normale” “sovrappeso “ “obesità di 1°” e via dicendo…per utilizzarli come riferimenti del peso in relazione alla salute e alla prevenzione di malattie cardiovascolari.
Osservando infatti l’andamento della relazione tra BMI e mortalità, emerge una “curva a J” in cui la mortalità sembra minima tra BMI 18,5 a 24,9, definito “range di normalità del BMI”; la mortalità tende invece ad aumentare all’aumento del BMI sopra il range i “normalità” (“sovrappeso/obesità” ) o alla riduzione sotto il range di “normalità” (“ sottopeso”) .
Per cui, da allora, il ragionamento adottato dall’ambiente sanitario è stato il seguente:
se il range di BMI normale va da 18,5 a 24,9, se prendiamo il punto medio di questo range (22,5)→ per un’altezza di 1,60 m , il peso “ideale” di una persona è calcolato così
1,60m x 1,60m x 22,5 kg/m2 = 57,6 kg.
Fin qui sembra tutto perfetto, matematico, chiaro, fantasmagorico….dove stanno allora i problemi?
QUALI SONO DUNQUE I PUNTI CRITICI DEL BMI ?
1. IL BMI NON DICE NULLA DELLA COMPOSIZIONE CORPOREA
Il BMI è una misura di densità assoluta, non distingue quindi ciò che è massa grassa, ciò che è massa magra (muscolo, osso, organi, liquidi…) e il peso “transitorio” nel lume digerente (cibo, materiale fecale).
A un peso di 57,6 kg dell’esempio precedente potrei avere tanto una bassa quanto una alta quantità di massa grassa: il BMI non lo dice. Arnold Shwarzenegger nel pieno della sua carriera aveva un BMI di 31, classificabile come ob*sità: chiaramente, il suo peso elevato era in buona parte legato alla elevata massa muscolare e all’elevato livello di idratazione di essa.
“Perdere peso” non è affatto sicuramente qualcosa di positivo: dovrei chiedermi infatti “che cosa sto perdendo?”
Tipicamente infatti quando si dimagrisce forzatamente, soprattutto per dimagrimenti rapidi e/o intensi, le componenti che più vanno a ridursi sono proprio quelle di muscolo -e anche il cuore è un muscolo!- e liquidi (e talvolta di massa ossea) e ciò non costituisce affatto un miglioramento della funzione corporea e della salute.
Inoltre, il BMI così come lo conosciamo oggi è basato su uno specifico campione di popolazione: maschi adulti, bianchi, benestanti. Non a caso non descrive per niente bene né la normalità statistica né la normalità biologica e di salute di bambini/e ed adolescenti (in cui il BMI non andrebbe utilizzato), donne (che hanno un grasso corporeo e presenza di liquidi maggiore), altre etnie (ad esempio etnie africane tendono ad avere BMI più elevati a causa di una maggiore presenza muscoloscheletrica) ed estrazioni socioeconomiche.
Insomma, il BMI è una misura omogeneizzante che vuole semplificare una realtà di corpi in realtà molto più complessa e varia.
2. IL GRASSO CORPOREO NON È TUTTO UGUALE, NON É NECESSARIAMENTE PATOLOGICO
Il BMI NON distingue la tipologia e la distribuzione di massa grassa.
Diverse distribuzioni di grasso corporeo hanno in realtà “ruoli” diversi: il grasso sottocutaneo è ampiamente determinato dalla genetica, ha funzioni di riserva e ormonali indispensabili e evolutivamente vantaggiose, soprattutto nella donna e nell’anziano. Il “buon senso” della comunità medica fino al XXI secolo vedeva nella corpulenza un fattore protettivo di salute non aveva torto: il grasso sottocutaneo tipicamente localizzato in cosce e fianchi ha per il corpo femminile un valore positivo: di riserva energetica per la gravidanza e di “cuscinetto protettivo” da traumi, per cui è strettamente regolato e “salvaguardato” dagli estrogeni…per questo, significative riduzioni di grasso nella donna sono responsabili di squilibri ormonali che compromettono la sfera della fertilità; inoltre, sopra i 50 anni un BMI più elevato (definito come “sovrappeso”) statisticamente risulta un fattore protettivo perché il grasso fa da cuscinetto contro traumi e cadute che potrebbero maggiormente causare fratture ossee e fa da riserva energetica utile nel momento in cui si andasse in contro a malattie che causino malnutrizione tipiche dell’età senile.
Il grasso viscerale addominale (che determina la circonferenza vita e il rapporto vita/fianchi) invece -quando molto aumentato (più facilmente in relazione ad abitudini alimentari inadeguate e/o inattività fisica e/o patologie e terapie farmacologiche) – è un grasso metabolicamente attivo che produce infiammazione e potrebbe in alcune condizioni rappresentare un fattore di rischio aggiuntivo, ma non è detto che i tentativi di ridurlo forzatamente abbassino il rischio per la salute, ma potrebbero anzi aumentarlo.
3. IL BMI è UNA UNA MISURA STATISTICO-PROBABILISTICA DAL VALORE LIMITATO, PERCHÉ CORRELAZIONE NON É CAUSALITÀ
Il punto critico dell’utilizzo del BMI e dei suoi range per definire il rischio per la salute è che essi sono nati come misura statistico-probabilistica che sembra definire una correlazione, ma non una causalità.
Statistica = frutto di una media di dati di una campione di popolazione. In generale , non è detto che il singolo caso rispecchi la statistica media. Le statistiche su cui sono stati elaborati i parametri di BMI hanno preso in considerazione un campione rappresentato soprattutto da uomini di metà età bianchi: non rappresenta quindi una fetta importante della popolazione mondiale -le donne-, altre età e soprattutto non altre etnie.
Probabilistica= non è detto che la maggiore probabilità statistica di rischio si realizzi sul singolo individuo. Questo perché il BMI è solo un fattore di rischio statistico (con statistiche alquanto poco realistiche) per la salute, ma dalla teoria alla realtà c’è di mezzo un mondo di tante altre variabili che influiscono realmente sulla salute.
In questo senso è importante distinguere anche tra correlazione e causalità.
Correlazione= osservare una associazione tra dati. Ad esempio, se osservo che quando piove l’asfalto è bagnato, definisco che “tra pioggia e asfalto bagnato c’è una correlazione”.
Tuttavia CORRELAZIONE NON É CAUSALITÀ.
Se ogni volta che c’è l’asfalto bagnato penso che abbia piovuto (ovvero che la pioggia ne sia stata la causa), sto cadendo in un errore di semplificazione: l’asfalto bagnato potrebbe essere stato causato dagli spazzini che puliscono le strade, da qualcuno che ha riversato in strada dei liquidi, da una fuoriuscita di liquidi dal sistema fognario….e tante altre ipotesi. Potrebbe anche essere che queste cause siano state co-presenti con la pioggia.
Allo stesso modo, se osservo una persona con un peso elevato (classificata come sovrapp*so/ob*sa) con una condizione medica e ne deduco che tale condizione sia stata causata dal suo peso, sto commettendo un errore di semplificazione, in questo caso basato su uno stereotipo.
La correlazione tra peso elevato e patologie potrebbe non essere tanto determinata dal grasso, quanto da cattive abitudini (alimentari, sedentarietà, consumo alcolico, stress) o altri fattori (patologie, terapie farmacologiche, storia clinica, storia dietetica*) che possono essere causa tanto delle patologie quanto del grasso aumentato: si tratta quindi di correlazione, ma NON di causalità grasso-patologie.
*Le diete in sé sono causa di aumento di peso e di peggioramento di diversi parametri metabolici e di salute, quindi potrebbe benissimo essere che il ridotto benessere di alcune persone grasse sia causato dalla stessa pressione al dimagrimento.
Così come le pressioni e le discriminazioni grassofobiche che corpi grassi subiscono quotidianamente a causa della cultura grassofobica sono a loro volta causa di stress e un fattore di rischio sulla salute psico-fisica.
Buone abitudini (dieta, attività fisica, stress-management, astensione da fumo e alcool, terapie di cura) sono fattori positivi sulla salute, a prescindere dal peso o dal grasso corporeo.
Del resto, è difficile effettuare degli studi in cui si isolino tutte queste variabili, in uno studio non retrospettivo ma prospettico, controllato, in doppio cieco, a lungo termine, in cui si possa obbligare le persone ad aderire una vita a stili alimentari e di vita imposti dallo studio: di fatto questi studi non esistono e buona parte degli studi sull’alimentazione sono poco “solidi” per evidenti difficoltà tecniche…le evidenze attualmente disponibili si basano su “fonti” poco solide.
Quindi:
Il peso, il BMI, il grasso corporeo non sono predittori dello stato di salute di una persona: non è corretto da una fotografia o dalle misure di una persona determinarne lo stato di salute, il rischio di malattia, e prescrivere cambiamenti del corpo o dell’alimentazione sulla base di ciò.
➯ LA SALUTE NON HA UNA TAGLIA O UN ASPETTO!
4. EFFETTI COLLATERALI FISICI, PSICOLOGICI E SOCIALI DELLA DIETA PER PERDERE PESO
Il quarto punto critico dell’utilizzo del BMI per definire il “peso ideale” da raggiungere attraverso diete e programmi di attività fisica, è il non considerare tutti quelli che sono i possibili effetti collaterali fisici, psicologici e sociali:
- della restrizione dietetica– cognitiva (ovvero dove c’è l’intenzione di perdere peso e comportamenti ad essa finalizzati, che non si realizzano concretamente in una restrizione calorica e in una perdita di peso)= senso di colpa, vergogna, ansia, irritabilità, sbalzi d’umore, depressione, alterazioni delle percezioni di fame/sazietà, disconnessione dai propri segnali interni come mezzi di autoregolazione, aumentato interesse e desiderio per il cibo, apatia, rigidità cognitiva, diminuita capacità di concentrazione, intolleranza allo stress, abbuffate, isolamento sociale, marginalizzazione di altre aree importanti della vita etc
- della restrizione calorica e della perdita di peso (si sommano a quelli della restrizione dietetica cognitiva) =perdita di massa magra, edema, debolezza, squilibri ormonali (disturbi del sonno, della libido, abbassamento del metabolismo basale e della termogenesi che favorisce gli aumenti di peso, ipotermia), carenze di nutrienti anemia, stipsi/disbiosi, precoce senso di pienezza etc (+ altri se perdita di peso importante: disturbi riproduttivi, digestivi etc)
(per approfondire sugli effetti collaterali delle diete: clicca qui)
In più le probabili fluttuazioni di peso (Weight-cycling) sono dimostratamente più dannose sul metabolismo e sul sistema cardiovascolare rispetto all’ mantenere un peso “aumentato” ma stabile.(Fonte: Minnesota Study- “The biology of human starvation (Vol 2) Keys, A. et al 1950. Minneapolis: University of Minnesota Press”)
Nella prospettiva transdiagnostica (centro CREDO dell’università di Oxford: Fairburn, Cooper e Shafran), il principale fattore di rischio primario (nucleo psicopatologico) nello sviluppo di tutti i disturbi alimentari (disturbo da alimentazione incontrollata, binge-eating disorder, ortoressia, bulimia, anoressia, vigoressia etc) e comportamenti alimentari disturbati comprende proprio l’eccessiva valutazione e preoccupazioni verso il peso, la forma del corpo e il controllo dell’alimentazione, a qualsiasi taglia, indipendentemente dal BMI.
La dieta risulta essere un potentissimo fattore di rischio di sviluppare disturbi alimentari.
I disturbi alimentari sono significativamente associati a un aumento del rischio di mortalità, ma prima che di mortalità, di compromissione del funzionamento e del benessere bio-psico-sociale della persona, molto più gravi e concreti del rischio associato a BMI più elevati. Il rischio di sviluppare comportamenti alimentari disturbati con una dieta aumenta di 5x e molti disturbi alimentari si sviluppano a partire da una dieta.
Allora, quanto vale la pena tentare di modificare forzatamente il proprio peso con una dieta forzata, considerati questi possibili rischi?
I supposti miglioramenti teorici della salute associati a un peso più basso, sono reali e duraturi?
La risposta, è no!
5. LE DIETE DIMAGRANTI NON FUNZIONANO COMUNQUE A LUNGO TERMINE PERCHÉ IL PESO NON È CONTROLLABILE CON LA FORZA DI VOLONTÀ E IL CONTROLLO
No, il nostro peso, grasso e forme corporee non sono manipolabili stabilmente a nostro piacere perché determinati in buona parte da fattori non controllabili.
In questo senso, la prescrizione del dimagrimento basata sull’idea che un peso inferiore potrebbe essere un beneficio per la salute si rivela nella stragrande maggioranza dei casi irrealizzabile o comunque insostenibile, quindi non realmente efficace…e anzi appunto i tentativi di dimagrimento aumentino la tendenza all’aumento del peso e a peggioramento di parametri di salute.
6. IL PESO NON CONSIDERATO DEL WEIGHT CYCLING NEGLI STUDI SULLA RELAZIONE TRA BMI E SALUTE
A questo proposito si noti come tutti gli studi che sono stati fatti finora sulla relazione tra BMI e mortalità non considerano -nel descrivere la relazione tra BMI e mortalità – le variabili indipendenti del dieting e del weight-cycling che costituiscono fattori di rischio sulla salute e che potrebbero essere presenti in persone classificate come “sovrapp*so/ob*se” e quindi “confondere” la relazione tra BMI e mortalità : il problema è il BMI in sé e per sé… o il dieting e il weight-cycling che la persona intraprende per cercare di modificare il proprio peso?
Né considerano eventuali fattori protettivi -indipendenti dal BMI- come la qualità dell’alimentazione, del movimento….
7. IL PESO NON CONSIDERATO DEL WEIGHT STIGMA NEGLI STUDI TRA BMI E SALUTE
Il “weight stigma” o “stigma sul grasso” è quel fattore che colpisce, discrimina, ostacola, esclude, svantaggia le persone grasse in ambiti sanitari, lavorativi (*) e scolastici (poiché essere grassi è visto come sintomo di pigrizia e immoralità o debolezza), nei mezzi di comunicazione e in rete, nel marketing, in strada…
Tutti gli ambienti virtuali e reali oggi sono costellati di commenti dispregiativi e umilianti, body-shaming, consigli non richiesti, colpevolizzazioni, molestie, insulti, derisioni e microaggressioni alle persone grasse sulla unica base del loro aspetto. È provato da numerosi studi che in un ambiente sanitario lo stigma grassofobico che porta a far risalire o correlare qualsiasi problema di salute al peso corporeo e a cattivo stile di vita (si dà per scontato che chi sia grasso sia inattivo e mangi male, senza nemmeno indagarlo) e alla prescrizione del dimagrimento come “terapia” inibisce la capacità di definire quali sono i reali problemi di salute e porta le persone grasse a evitare gli ambienti sanitari dove vengono regolarmente colpevolizzate, e questo chiaramente peggiora lo stato di salute-psicofisica per lo stress che ne deriva ma anche perché la persona sarà meno propensa a chiedere aiuto per risolvere qualsiasi problema di salute. La paura della derisione e dello stigma renderà meno facile per una persona grassa anche andare in palestra o fare attività fisica in pubblico (mezzi di cura di sé) e spesso anche solo uscire di casa a camminare. Del resto il non avere rappresentazioni sociali (se non quelle in ruoli comici), servizi (es sedili idonei) e strumenti adatti ai corpi grassi (vestiti “alla moda” o in linea con i propri gusti personalità e stile) è un ostacolo al benessere psicosociale di queste persone.
L’ultimo punto critico degli studi sulla correlazione tra grasso/BMI e salute allora è legato al non considerare come il fat/weight-stigma influisca (pesantemente) sulla salute e il benessere delle persone studiate più che non il loro peso in sé e per sé.
Questo aspetto ci ricorda di come in una società, cultura e sanità grassofobica il benessere e la salute non siano diritti garantiti alle persone grasse, e di come abbiamo bisogno di un attivismo, una divulgazione e una clinica “fat-acceptive” e che riconoscano e tutelino il valore, il diritto al rispetto e la salute-ad-ogni-taglia.
* https://www.inail.it/cs/internet/comunicazione/news-ed-eventi/news/p507097391_tenersi_in_forma_allarme_per_.html
…IN CONCLUSIONE
Quello che la medicina (e la società) oggi fanno riconducendo con semplicismo tutti i problemi di salute di una persona al suo peso, al grasso e alle forme corporee, utilizzando il BMI per definire ciò che non è sano e normale e prescrivendo un dimagrimento ai corpi più grassi si basa sul Weight Bias, il pregiudizio s secondo cui grasso=insano e magro=sano e giusto.
Questo approccio stigmatizzante del grasso e delle persone grasse (grassofobia) concretamente spesso non fa altro che peggiorare la qualità della vita di queste persone dal punto di vista fisico, psicologico e sociale.
Non ha senso definire il peso ideale di una persona sulla base del BMI ideale (calcolato con una formula matematica!!) o del grasso corporeo .
Il professionista sanitario non può e non deve utilizzare il peso/grasso come (unico) indicatore della salute del paziente, per fare diagnosi o prescrizione, ma deve indagare a 360° ogni aspetto della salute e del benessere della persona (bio-psico-sociale) avvalendosi di altri esami strumentali e consulenze specialistiche in equipe.
Ne va di conseguenza che qualsiasi commento sul peso, sul grasso corporeo, sull’alimentazione al di fuori di un contesto sanitario (commenti in famiglia, tra amici o pari, o da bar) è assolutamente fuori luogo, improprio, privo di valore e pericoloso per il benessere della persona: educhiamoci a risparmiarceli, per il bene di tutti!
GLI APPROCCI ALLA SALUTE NON FOCALIZZATI SUL PESO HEALTH AT EVERY SIZE
Esistono da tempo e sono sempre più studiati e condivisi – per fortuna- approcci medici non focalizzati sul peso definiti Health At Every Size che abbracciano e promuovono il concetto di salute-ad-ogni-taglia e range-di-peso-naturale-di benessere, rifiutando l’idea che corpi grassi siano sbagliati e meno validi e che il dimagrimento forzato sia una soluzione di salute e benessere, promuovendo invece un approccio all’Alimentazione Intuitiva e Consapevole che si basi sulla fiducia, sull’ascolto e sul rispetto dei segnali del corpo -a prescindere dal suo peso e la sua taglia- come strumenti di autoregolazione alimentare .
Questi approcci considerano la salute come un costrutto complesso e strettamente individuale che richiede di essere autodeterminato dalla Persona in base ai suoi valori e possibilità, tenendo conto anche di fattori non modificabili come la genetica e l’ambiente in cui si vive: la grassofobia appunto sarebbe un ostacolo alla salute e al benessere delle persone, e si può quindi innanzitutto comprendere questo e capire come -alla luce di ciò- si possa curare il proprio benessere e salute.
**qui sotto, un estratto di una lettura consigliata per nutrire fat-acceptance e combattere lo stigma e la discriminazione verso i corpi grassi ??. “Fat shame: lo stigma del corpo grasso” di A.E. Farrell